ACCERTAMENTO DA STUDI DI SETTORE

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ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI                       BARI.

Oggetto:  Anno 2000 – IRAP – IVA – SANZIONI – INTERESSI per la società in accomandita    semplice.

IRPEF – ADDIZIONALE REGIONALE – CONTRIBUTI INPS – SANZIONI ED INTERESSI per i due soci:

1 socio accomandante – 1 socio accomandatario

RICORSO INTRODUTTIVO CUMULATIVO

Avverso cinque avvisi di accertamento emessi dall’ Agenzia delle Entrate Ufficio di Gioia del Colle, Via Noci, ang. SS100, distintamente specificati, per soggetto d’imposta e tipo di imposta, nelle legende che seguono:

  1. LEGENDA DEI MODELLI CHE SI IMPUGNANO:

1) Numero RF 3020345/2007 (Prot.XX859, in data 0XXX12.2007), relativo alla OXXXXX & c. S.a.s.Via XXXXX e stesso domicilio fiscale, rappresentata daXXXXXXX, nata a Putignano (Ba) il XXX979, ivi domiciliata, Via xxxxxxxxxxxxx;

–          Atto notificato il 0xxxxx007, r.n. 7xxxx6126702-2;

–          Tributi accertati: IRAP – IVA;

2) Numero RF 302xxx545/2007 (Prot.xx61, in data 05xxxx007), relativo alla rappresentante dell’anzidetta Oxxxxx & c. S.a.s., Signora Fxxxxxxxx nata a Putignano (Ba) il 15xxx.1979, ivi domiciliata, Viaxxxxxx;

– Atto notificato il 07.1xx007, nr. 76xxxxxx6701-1

– Tributi accertati: IRAP ed IVA;

3) Numero x 302xxxx2007 (Prot.76xxx3, in data 05xxxx.2007), relativo alla persona fisica-contribuente xxxxxxxxxxxxxx nato il 19xxx76, in qualità di Socio della Oxxxx & c. S.a.s., Via xxxxo xx13, Putignano (Ba): C.F. xxxxxxxxxxxxxxxxx:

–          Atto notificato il 10xxxx2007,r.n. 7627612xx4-4;

–          Tributi accertati: IRAP ed IVA;

4) Numero RF 30xxxxx007 (Prot.7xxx1, in data 05xxx2007), relativo alla persona fisica, in qualità di Socio della Oxxxxxxxxxxxxa & c. S.a.s., signora xxxxxxxxxxxx, nata a Putignano il 1xxx79 ed ivi domiciliata al xxxxx; Putignano; C.F.: xx:

–          Atto notificato l’1xxxx, r.n. 762xxxxxx703-3;

–          Tributi accertati : IRPEF –ADD.LE REG.LE-INPS ;

5) Numero RF 3010xxx07 (Prot.76xxx9, in data 0xxx2007), relativo alla persona fisica, in qualità di Socio accomandante della  Oxxxxxxxxxxxxxx c. S.a.s., Sig. xxxxxx, nato a Putignano (Ba) 19xxx ed ivi domiciliato in viaxxxxxxxxxx, C.F.: xxxx:

–          Atto notificato il 07xxxxxx07, r.n. 7xxxxxxx05-5;

–          Tributi accertati: IRPEF –ADD.LE REG.LE – INPS;

B. LEGGENDA DEI RICORRENTI, PER TUTTI GLI AVVISI DI RISPETTIVA PERTINENZA E COMPETENZA:

1) Oxxxxxxxxxxxxxxxa & C. S.a.s., Via xxxxxxxxxxxxxxx, Putignano (Ba), già corrente al detto domicilio fiscale e legale e già esercitante l’attività industriale di produzione di confezioni, partita IVA: 0xxxxxxxxxxxx27;

2) Fxxxxxxxxxa: nata a Putignano (Ba) il 1xxx979, ivi domiciliata, Viaxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx, C.F. xxxxxxxxxxxxxxx (ricorrente come Persona Fisica-Contribuente e rappresentante pro tempore delle predetta S.a.s.);

3) Fxxxxxxxxxxxxxxxxxxio: nato a Putignano (Ba) il 19.xxx76, ivi domiciliato, ViaxxxxxxxA, C.F. xxxxxxxQ, (ricorrente come Persona Fisica-Contribuente e Socio accomandante dell’indicata S.a.s.);

ED IN NOME E PER CONTO DI TUTTI I SOPRA SPECIFICATI SOGGETTI D’IMPOSTA, IL DIFENSORE  TECNICO ABILITATO

Rag. TONIO  DETOMASO, nato a Putignano (Ba) il 4.9.1947, con studio alla via G. Pascoli, n.27/A, 70017 Putignano (Ba); Codice Fiscale  DTM TNO 47P04 HO96B, giusta procura alle liti rilasciata, secondo i rispettivi atti e titoli rappresentativi e personali, di diritto, degli stessi ricorrenti, come sopra identificati, procura in calce a questo atto di ricorso;

CON RICHIESTA

  1. DI SOSPENSIONE DEGLI ATTI IMPUGNATI, AI SENSI DELL’ART. 47 DEL D. LGS. 31.12.1992, N.546 E S.M.;
  2. DI TRATTAZIONE DELLA CAUSA IN PUBBLICA UDIENZA, AI SENSI DELL’ART. 33, 1° COMMA DEL D. LGS. N. 546/92;
  3. DI ESERCIZIO DI OGNI POTERE ISTRUTTORIO, OVE OCCORRA, ESSENDO LA CONTROVERSIA FORIERA DI ASPETTI COGNITIVI DEL TUTTO PARTICOLARI, NELLA PROSPETTAZIONE DELLA RATIO DI BISOGNO E DI ASSENTIMENTO DELL’ART.7 DEL D.LGS. N.546/1992;
  4. ALL’UFFICIO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE AVVISANTE, DI ANNULLAMENTO DEGLI OPPOSTI AVVISI, MEDIANTE L’APPLICAZIONE DELL’ISTITUTO DELL’AUTOTUTELA, AI SENSI DELL’ART. 68 DEL D.P.R.  287/92 E DELL’ART.2 QUATER DEL D.L. 30.09.1994, IN LEGGE 30.11.1994, N.656 E DELLE DIRETTIVE APPLICATIVE E  REGOLAMENTARI DETTATE DALLE ISTITUZIONI GERARCHICHE SOVRAORDINATE.

———-O———-

Il sottoscritto difensore rag. Tonio Detomaso, libero professionista in Putignano (Ba), ha ricevuto mandato difensivo dalla OLxxxxxxxxxxxxxxx & c. S.a.s., (a cura della Rappresentante Legale pro tempore di essa), dalle persone fisiche Frxxxxxxxo, secondo i rispettivi titoli di diritto e di tutela (e come da rispettiva imputazione dei n. 5 avvisi emessi dall’Agenzia delle Entrate di Gioia del Colle), essendo alla menzionata Società S.a.s. ed alle loro persone, giunti a notifica, come da già evidenziati in leggenda A), n.5 modelli titolati Avvisi di Accertamento.

Egli, in esecuzione del detto ricevuto mandato difensivo, ha riscontrato la totale infondatezza ed illegittimità degli anzispecificati Avvisi Erariali, pertanto, ai sensi dell’art.18 e seguenti del D.Lgs. 31.12.1992, n. 546 e s.m.

R I C O R R E

a Codesta On.le Commissione Tributaria Provinciale, quale Giudice a Quo, affinché eserciti la relativa cognizione e decida la controversia ai sensi dell’art. 36 dello stesso D. Lgs. n. 546/1992, e s.m..

PREMESSA  AI  M O T I V I  DEL  RICORSO

I cinque Avvisi di Accertamento, nel loro costrutto formale, sostanziale, logico e giuro-impositivo, in abbinata constatata ricorrenza della connessione per natura tra gli stessi sul piano dei motivi, dei fatti, dei criteri di discrimine dei presupposti, dei tributi, dell’oggetto e di ogni altro elemento giuridicamente considerabile, nella ratio dell’art.29 del D.Lgs. n.546/1992 e s.m. e delle norme del C.P.C., configurano la Condicio Iurisdi proponibilità “cumulativa”  del presente ricorso. Trattasi cioè di unico fatto economico generatosi nella Oxxxxxa & C. S.a.S. assunto dall’Ufficio come ipotesi di aggiuntiva obbligazione d’imposta, a carico dei detti soggetti, legati, in termini di cointeressenza, alla medesima S.a.s. e come tali attratti nella stessa congettura impositiva.

Da tanto si ha che i cinque Avvisi Fiscali si pongono in lineare connessione soggettiva ed oggettiva; che l’economia delle funzioni di Giustizia (e non solo di essa) attrae nella possibilità di riunione (volontaria) dei ricorsi (S.C. Cassazione a Sezioni Unite 19.01.1970, n.105, in Imp. Dir. Erar., 1970, 815 e molte altre, in consonanza e conformità con la letteratura ela Giurisprudenza Amministrativa).

A ragione di tanta oggettività e soggettività, peraltro tutta propria delle Società a struttura personale (cioè non capitaria) com’è la S.a.s. in parola, il presente ricorso introduttivo della controversia è attinente ed è proposto per la S.a.s., la rappresentate di essa, la stessa signora Frxxxxxxxxxxxxxxx, ed il Sig. Fxxxxxxxio,  per tutti i quali il sottoscritto, negli stessi termini di connessione ed unitarietà, difensivamente si costituisce dinanzi a Codesta On.le Commissione Tributaria Provinciale.

MOTIVI DEL RICORSO

IN FATTO

1)          L’Agenzia delle Entrate Ufficio di Gioia del Colle notificava a mezzo raccomandate del 1xxx007, gli inviti nn. RF3xx00547/2007, aventi prot. 6xxx0, (allegato n.1), prot. 6xxx8 (all.2) e prot. 6xxx (all.3) ad esibire documentazione contabile e a presentarsi il giorno 29.xx2007 in Ufficio ai fini dell’instaurazione del contraddittorio e dell’eventuale definizione dell’accertamento con adesione, ai sensi del Decreto Legislativo 18.6.1997, n.218 ; 

2)          Per l’incontro avvenuto il 29.xxx2007 veniva redatto il verbale di contraddittorio, (all.4), dal quale si evince che si esibivano i documenti fiscali richiesti, tra cui la memoria difensiva esplicativa ( all. 5) con relativi allegati. L’Ufficio proponeva l’aggiornamento dell’incontro al 12xxxx007.

3)          In data 12.xxxx007 aveva luogo l’incontro durante il quale si faceva presente che lo studio evoluto  (all. 6 ) segnava il maggior ricavo di euro 40.xxx,00 , diverso dall’Ufficio, e comunque in considerazione della particolare situazione non doversi procedere all’esame degli studi di settore e chiedeva l’archiviazione della pratica ( all. 7). L’Ufficio rinviava al 22.xx007.

4)          Il 22.xxx.2007, l’incontro non ebbe luogo per assenza del funzionario incaricato e non fu redatto alcun verbale ma concordato un altro incontro per il 3xxxx2007.

5)          In data 3.xxxxxxxxxx07 (all. n. 8) durante l’incontro l’Ufficio al fine di pervenire alla definizione con adesione riduce i maggiori ricavi da lire 191.xxxxxx58.000 a lire 12xxxxx0.000, riconoscendo in parte fondate le ragioni addotte dal contribuente. Il contribuente non condivide l’operato dell’Ufficio ed anzi ne contesta la procedura che, oltre a risultare stressante, capziosa ed  illegittima, non è codificata nel nostro ordinamento tributario, nè nella normativa degli studi di settore e chiede l’archiviazione della pratica.

6)          Nelle date 7-xxx11 dicembre 007, come sopra descritto, ai ricorrenti venivano notificati gli avvisi di accertamento, qui impugnati, con la quantificazione della pretesa erariale,

Oxxxxxxxxxxxxxxx & C. S.a.S. (RF 3020xx545):

  • Ricavi dichiarati  lire 300xxxx.000, maggiori ricavi non dichiarati lire 12xxx90.000.=
  • € 9xx,66.= per  la maggiore imposta irap;
  • € 2xxx,69 per interessi;
  • € 12xxxx0,72 per  IVA;
  • € 3.0xxxxx06 per interessi;   
  • € 13xxxxx,38 per sanzioni.

xxxxxxxxxxx (RF 301030xxxx1):

Maggior reddito di partecipazione lire  9xxxx08.000;

  • € 94xx67 per Irpef dovuta;
  • € 21xxx29 per interessi;
  • € 45xxx6 per addizionale Regionale;
  • € 10,xxx36 per interessi;
  • € 9xxxx,67 per sanzioni irpef;
  • € 45,96 per sanzioni addizionale;
  • € 1.xxx,98 per contributi INPS.

FRxxxxxxGIO (RF 301xxxx030):

Maggior reddito di partecipazione lire 3xxxxxx3.000;

  • € 4.8xxxxx,46 per Irpef dovuta;
  • € 1.1xxxx2,76 per interessi;
  • € 1xxx4,38 per addizionale Regionale;
  • € 4xxxx54 per interessi;
  • € 4.xxxx94,46 per sanzioni irpef;
  • € 1xx,38 per sanzioni addizionale;
  • € 3.3xxx,17 per contributi INPS.

7)          Con le memorie prodotte il ricorrente spiegava e documentava all’Ufficio le ragioni dello scostamento tra il dichiarato e quello da studi di settore. Ma sopratutto insisteva nel rappresentare che il soggetto in esame non avendo operato in normali condizioni d’impresa per l’anno 2000, non poteva essere considerato soggetto inquadrabile ed attendibile ai fini degli studi di settore, i quali, come è noto, proprio perchè sono strumento statistico medio di sofisticata elaborazione, tant’è che non è dato conoscere al contribuente come si perviene al presunto maggior ricavo, non poteva ragionevolmente rappresentare la situazione della ditta in questione, ma poteva agire solo come elemento indiziario. E’ noto che i coefficienti degli studi si applicano ai costi dichiarati dal contribuente  ed il prodotto si somma alla base producendo solo numeri positivi; ciò significa che il risultato è sempre in progressione ( maggiori ricavi) e mai negativo ( perdita), ovvero la procedura non prevede che l’azienda possa chiudere l’esercizio in perdita oppure con un risultato modesto; da qui l’assoluta certezza e conferma che lo strumento studio di settore è di ausilio all’Ufficio nell’attività di controllo ma mai esso può sostituirsi alla delicata attività di accertamento e determinazione del reddito. Apparve subito chiaro che, nonostante l’evidenza dei fatti, all’Ufficio interessava solo fare “ CASSA”.

Contestava, quindi, gli studi di settore e ne chiedeva la disapplicazione e l’archiviazione della pratica, dopo aver richiamato fonti normative, Giurispriudenziali e di dottrina. In sintesi rappresentava all’Ufficio che gli studi di settore, in presenza di gravi incongurenze, autorizza l’Ufficio semplicemente a procedere all’accertamento analitico-induttivo, previsto dall’art. 39, comma 1, lett.d), del D.P.R. 29.9.1973, n.600, cui l’art. 62 sexies del D.L. 331/93 fa esplicito ed esclusivo riferimento, ampliandone le possibilità, fermo restando il rispetto della procedura che deve necessariamente svilupparsi in:

fase dell’accertamento, fase della determinazione dei ricavi, fase della liquidazione e quella della riscossione.

Si intende con il presente ricorso trattare preliminarmente le due distinte fasi che devono contraddistinguere l’attività dell’Ufficio tributario, ovvero quella dell’accertamento e quella della determinazione dei ricavi.

QUESTIONI PRELIMINARI:

DIRITTO

 

A) FASE DELL’ACCERTAMENTO

A).1.GRAVE INCONGRUENZA E  DIFETTO DI MOTIVAZIONE

L’art. 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n.331 in L. 29.10.1993, n. 427, in particolare, ha previsto l’elaborazione degli studi di settore in relazione ai vari settori economici di esercizio delle attività imprenditoriali e professionali “ al fine di rendere più efficace l’azione accertatrice”. Ai sensi dell’articolo in esame, gli studi sono strumenti elaborati dall’Amministrazione finanziaria, secondo la procedura così articolata:

  • Identificazione di campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori, che presentano, cioè, caratteristiche aziendali simili;
  • Controllo di questi campioni “allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata”.

Il non corretto uso della metodologia degli studi di settore, nella linea del sistema garantista cuila Carta Costituzionalesi ispira,  non soddisfa almeno per due argomenti :

per primo la notifica di un avviso di accertamento ha conseguenze in sè sanzionatorie, essa implica, infatti, un pregiudizio per il contribuente, sopratutto economico, essendo l’atto suscettibile di diventare definitivo e motivo dell’iscrizione a ruolo di una parte delle imposte accertate;

per secondo:

  • manca l’identificazione del campione di contribuenti, economicamente coerenti, assunto per la formazione della “ base di riferimento “, poichè nè la nota tecnica e metodologica, nè altre fonti ufficiali forniscono chiarimenti sullo specifico punto. In via astratta o il riferimento è a posizioni soggettive verificate mediante attività ispettive e di riscontro ( ma anche tale ipotesi lascia pur sempre dei margini di incertezza ) oppure l’enucleazione è scaturita dal confronto con indici di produttività o di redditività forniti dalle categorie economiche interessate, cioè di parte;
  • non esistono correttivi territoriali, nè a livello Regionale nè a livello di centro abitato in cui l’attività viene esercitata. Ciò significa che in base agli studi di settore la stessa attività commerciale o professionale al centro di Milano o in un paese ipotetico della Puglia con meno di 1000 abitanti dovrebbe, produrre il medesimo fatturato e lo stesso volume di compensi. La mancanza di certezza, quale indice di attendibilità, è conseguenza (dannosa) inevitabile delle procedure per valori medi. Sarebbe davvero pretestuoso pretendere di raggiungere, per tale via, risultati conseguibili esclusivamente con metodologie analitiche per cui, una volta optato per uno schema sintetico-induttivo, occorre gioco forza accettare anche possibili profili negativi quale inevitabile conseguenza del sistema procedurale prescelto.

L’ultimo periodo dell’art. 62-bis stabilisce, infine: “ Gli studi di settore sono approvati con Decreti del Ministero delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995, possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell’accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995”; risulta subito evidente l’incerta affidabilità dello strumento statistico e sicuramente ogni volta che la stessa Amminstrazione Finanziaria, per qualsiasi ragione, deve  revisionare uno o più studi di settore o addirittura, come nel caso in esame, che con lo stesso studio si possono enunciare almeno due risultati diversi  ( CTP di Bari, sezione VIII, 12.5.2006, n.24). 

L’art. 62-sexies, comma 3, dello stesso Decreto, che rappresenta la norma di riferimento in tema di accertamento da studi di settore, stabilisce, invece, che gli accertamenti (analitici-induttivi) di cui agli artt. 39, co.1, lett. d), del D.P.R. 29.9.1973, n. 600 (imposte dirette) e 54 del D.P.R. 26.10.1972, n. 633 (IVA) “ possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili  dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore”.

Come si evince dalla lettura della disposizione, l’art. 62-sexies, comma 3, citato non ha previsto che la determinazione del reddito o dei ricavi avvenga sulla base degli studi di settore, come invece è detto nelle disposizioni che disciplinano i precedenti strumenti di accertamento ( Coefficienti art. 12 della L. 154/89, Contributo diretto lavorativo – L. 427/93,  Redditometro – art. 38, 4 c D.P.R. 600/73, Regime forf, Parametri art. 3 L. 549/95). Al contrario, lo studio di settore, viene investito semplicemente della funzione di agevolare l’espletamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria della funzione accertativa, permettendo alla stessa, in presenza di gravi incongruenze, di procedere ad accertamento analitico-induttivo.

L’art. 62-sexies, comma 3, richiede espressamente, per legittimare l’accertamento, che si verifichi una grave incongruenza tra i ricavi od i compensi dichiarati dal contribuente e quelli desumibili dagli studi di settore. Il legislatore, pertanto, non ha ritenuto sufficiente il risultato degli studi di settore come fatto noto per determinare acriticamente i risultati conseguiti dal contribuente, ma ha richiesto ulteriormente la presenza di “ gravi incongruenze” tra questi ultimi e gli studi di settore.

Inoltre, la grave incongruenza non può affatto essere rappresentata dallo stesso scostamento rispettto agli studi di settore, come sostenuto dall’Amministrazione Finanziaria, la quale ritiene che la gravità dell’incongruenza debba assumersi nel senso che è tale per il solo fatto che si verifica semplicemente un disallineamento con i valori risultanti dallo studio, quindi, che i maggiori ricavi risultanti dallo studio rappresentano sempre una incongruenza di per sè grave.

Il solo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli derivanti dall’applicazione degli studi non costituisce di per sè la grave incongruenza ma legittima semplicemente l’Ufficio ad effettuare l’accertamento analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/73.

L’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 58/E del 27.6.2002, ha affermato che l’importo determinato in base agli studi di settore ha il valore di presunzione relativa e, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 10 della Legge n. 146/98 ( con il quale, secondo l’Agenzia, il legislatore sarebbe “ nuovamente intervenuto al fine di disciplinare in modo dettagliato modalità e regole per l’effettuazione degli accertamenti basati sugli studi di settore”, modificando profondamente il quadro normativo di riferimento), può essere, senz’altro posto a base di eventuali avvisi di accertamento, senza che gli uffici siano tenuti a fornire altre dimostrazioni in ordine alla motivazione della loro pretesa. L’Agenzia delle Entrate, inoltre, richiama, a sostegno della propria tesi, la sentenza della Corte di Cassazione n. 2891 del 27.2.2002.   Si legge, infatti, nella circolare n. 58/E citata: “ coerentemente a quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, con Sentenza della Sezione Tributaria n. 2891 del 27.2.2002, la piena legittimità della utilizzazione di ragionamenti presuntivi, nell’ambito degli accertamenti analitico-presuntivi di cui all’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/73, posta a sostegno della conclusione che non vanno fornite altre dimostrazioni, trova conferma nella evoluzione legislativa che si è avuta a partire dal 1985. Citando nel ragionamento anche gli studi di settore, la Corte di Cassazione afferma, inoltre, che la predetta evoluzione legislativa “ ha confermato sempre di più la possibilità che l’Amministrazione utilizzi strumenti presuntivi legittimati dalla prassi e valutati già in sede preventiva a livello generale” . In tale contesto – si legge sempre nella Circolare – “ può determinarsi una situazione probatoria che investe anche la quantità dei valori ottenuti sulla base delle presunzioni medesime” ed il contribuente ha “l’onere di attivarsi e dimostrare o l’impossibilità di utilizzare le presunzioni in quella fattispecie o l’inaffidabilità del risultato ottenuto attraverso le presunzioni”.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate deve, però, essere criticata. Innanzitutto, perchè la Corte di Cassazione, nella stessa Sentenza, n. 2891/2002, citata dall’Agenzia nella Circolare n. 58/E, afferma: “ E’ l’art. 39, comma 1, lett.d), a consentire, sulla base della disamina della contabilità operata dall’Ufficio, di ricostruire l’esistenza di attività non dichiarate attraverso presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti; e questo valore possono assumere, se confortate da altri indizi,  le difformità delle percentuali applicate in concreto rispetto a quelle mediamente riscontrate nel settore di appartenenza, emergenti da studi di settore, quando vi sia uno scostamento che renda del tutto non credibile il risultato della dichiarazione”.

La  Suprema Corte, pertanto, ha chiarito, in sostanza, che la mera difformità delle percentuali di ricarico applicate, rispetto a quelle emergenti da studi di settore, non legittima un accertamento analitico-induttivo, ma occorre che le risultanze degli studi di settore siano “ confortate da altri indizi”.

Inoltre, l’art. 10 della Legge n. 146/98 non ha assolutamente modificato il quadro normativo di riferimento dal momento che, disciplinando le “ modalità di attuazione degli studi di settore” altro non è che una semplice norma di attuazione  delle disposizioni contenute nell’art. 62-sexies del D.L. n. 331/93, il quale è e rimane l’unica norma di riferimento in tema di accertamento da studi di settore. L’art. 10 citato non incide in alcun modo sull’operatività di tale requisito indefettibile, anche in forza del rinvio agli “accertamenti basati sugli studi di settore di cui all’art. 62-sexies”, che presuppone la volontà del legislatore di richiamare l’intero ambito di operatività di tale norma, comprese le condizioni in essa contenute.

Presupposto per procedere ad un accertamento analitico-induttivo fondato sugli studi di settore è, pertanto, soltanto la sussistenza di una grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione degli studi; grave incongruenza che deve sussistere ancor prima di procedere all’accertamento e che l’Ufficio è comunque tenuto a dimostrare e ad indicare nel proprio accertamento, il quale non può essere, quindi fondato esclusivamente sulle risultanze degli studi di settore, pena l’illegittimità dello stesso per violazione dell’art. 62-sexies D.L. n. 331/1993.

L’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio sulla base del predetto scostamento, senza la motivazione circa i presupposti che hanno legittimato l’Ufficio a procedere all’accertamento, sarebbe del tutto carente di motivazione, stante il disposto dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, Legge 27.7.2000, n.212, in base al quale tutti gli atti dell’Amministrazione Finanziaria devono essere motivati, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione stessa.

Quando si legge che gli accertamenti di cui agli artt. 39, co. 1, lett.d), del D.P.R. n. 600/73 e 54 del D.P.R. n. 633/72 “ possono essere fondati  anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili… dagli studi di settore” significa che la legge ha inteso solo individuare una particolare “fattispecie” suscettibile di accertamento analitico-induttivo, fermi restando le cautele ed i presupposti della citata lett. d) del primo comma dell’art. 39, del D.P.R. n. 600/73 e dell’art. 54 del decreto IVA.

Pertanto, le gravi incongruenze rispetto ai risultati degli studi di settore, divergenti rispetto a quelli dichiarati, vanno considerate solo come causa che consente all’Amministrazione di superare i risultati contabili, ma non anche come quantum imponibile.   

In altri termini, le divergenze ipotizzate tra risultati contabili e risultati dello studio di settore non autorizzano l’ufficio finanziario ad accertare a carico del contribuente un imponibile pari al risultato dell’elaborazione statistica ma, viceversa, autorizzano l’Ufficio (solo) ad adottare i criteri di accertamento indicati nella predetta lettera d), con l’obbligo di confrontare ( e supportare) il risultato dello studio con presunzioni gravi, precise e concordanti, nella considerazione che lo studio non esprime ricavi/compensi “effettivi” ma solo “ragionevoli” in condizioni ordinarie.

A).2.CONTRADDITTORIO CON IL CONTRIBUENTE

L’Amministrazione Finanziaria ha previsto l’invio al contribuente di un invito al contraddittorio contenente “ gli elementi rilevanti ai fini dell’accertamento al fine di pervenire alla definizione” ( Circ. Del Ministero delle Finanze n. 110/E del 21.6.1999- punto 7).

In tutte le circolari emanate dall’Agenzia delle Entrate in tema di accertamento da studi di settore è sempre stata vivamente consigliata agli Uffici, tenendo conto delle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento con adesione, la procedura di invitare preventivamente il contribuente per il contraddittorio, prima di procedere con l’accertamento effettivo.

I contribuenti, pertanto, possono definire l’accertamento basato sugli studi di settore avvalendosi delle disposizioni concernenti l’accertamento con adesione, secondo le modalità dettate dal D. Lgs. 19.6.1997, n. 218. Assume, quindi, rilevanza la fase del contraddittorio con il contribuente, e le osservazioni formulate dai contribuenti nel corso del contraddittorio dovranno essere attentamente valutate, così come dovranno essere adeguatamente motivati sia l’accoglimento che il rigetto delle stesse.  

Con riferimento agli studi di settore, va comunque rilevato che la Corte conferma la natura di atti amministrativi generali di organizzazione rivestita dagli studi, i quali non possono ritenersi sufficienti affinchè l’Ufficio effettui l’accertamento. Occorre, secondo la Sentenza n. 17229/06, che l’attività di accertamento conseguente anche agli studi di settore sia completata dal principio generale del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente di intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad adire il Giudice Tributario.

Il rispetto dei termini rappresenta una fase del giusto procedimento. Ora,  poichè  l’Ufficio ha invitato il contribuente a comparire il giorno 29/10/2007 a mezzo raccomandata postale del 17.10.2007, è evidente la violazione dell’art. 32, comma 2, del D.P.R. 29.9.1973, n. 600, il quale prevede che il termine (perentorio) minimo legale per l’adempimento non possa essere inferiore a 15 giorni dalla notifica.

Si osserva che il contribuente, al fine di soddisfare le esigenze dell’Ufficio ha dovuto produrre la documentazione richiesta frettolosamente ed avere quattro incontri, di cui tre verbalizzati come “contraddittorio” ed uno non verbalizzato.

E’ poi evidente che il contraddittorio è viziato se durante lo svolgimento una parte (l’Ufficio) assume, ma erroneamente, fin dall’inizio “ il diritto di tassare comunque e sempre nel nome degli studi di settore, magari scalando, a seconda dei casi, e concedendo sconti ed abbattimenti di imponibili”. Nel caso in esame dapprima l’Ufficio propone ricavi presunti per lire 19xxxx1.000, per pervenire successivamente a lire 125xxxxx.000     

B) FASE DELLA DETERMINAZIONE DEI RICAVI

B).1.ONERE DELLA PROVA– Trattandosi di presunzione semplice, la prova resta a carico dell’Ufficio, il quale nell’operare dovrà assumere fatti noti e non presunti. La determinazione dei ricavi sarà la conseguenza, ragionevolmente possibile e verosimile, della considerazione degli ulteriori elementi rapportati all’applicazione delle tabelle, calcoli degli studi di settore. Al contribuente vanno spiegati i passaggi logici giuridici seguiti per giungere alla determinazione dei maggiori ricavi. L’Ufficio, invero, lo deve dimostrare con le normali regole delle presunzioni ( CC 8 apr.2004/5899; CC 24.2.2004/3646; CC 9.2.2004/2431), considerato, altresì, che il risultato del procedimento induttivo è pur sempre una presunzione che deve avere tutti i requisiti di gravità, precisione e concordanza che le conferiscano la forza di una prova (CTP di Bari, sez. I, 25.7.2005, n. 115, CTR di Bari  Sez. VIII, 19.10.2005, n.85, CTR di Bari Sez. III, 8.9.2005, n.80). 

B).2.DIFETTO DI MOTIVAZIONE E DISAPPLICAZIONE DELL’ATTO. L’Ufficio è tenuto ad allegare  all’accertamento i Decreti, i Regolamenti con i quali portare a conoscenza delle parti e del Giudice come è pervenuta al risultato degli studi di settore.

L’obbligo di motivazione garantisce innanzitutto il diritto di difesa del contribuente, altrimenti difficile da esercitare con la necessaria consapevolezza se essa non consentisse di comprendere la sostanza della pretesa fiscale e non si può certo affermare che lo strumento studio di settore, così come congegnato ed articolato, se non illustrato in tutto il suo percorso, possa costituire motivazione.

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MERITO

IN DIRITTO

  • VIOLAZIONE DELL’ART. 32, C.2, DEL D.P.R. 29.9.73, N. 600

L’invito al contraddittorio non rispetta il termine perentorio minimo legale  di 15 giorni per l’adempimento del contribuente sicchè vi è violazione dell’art. 32, comma 2, del D.P.R. 29.9.1973, n. 600.     

  • DIFETTO DI MOTIVAZIONE DEGLI ATTI DI ACCERTAMENTO IN CAPO ALLA S.A.S. ED AI DUE SOCI – NULLITA’.      

Le  “motivazioni” dell’Ufficio sono classificabili in due distinte attività. Una rilevante parte costituisce proseguimento del contraddittorio e come tale non ha ragione di trovarsi in motivazione, e l’altra, priva di qualsiasi prova, l’insieme di apparenti presunzioni non aventi i presupposti minimi della gravità, precisione e concordanza.

1)      La motivazione dell’Ufficio è pretestuosa, inesistente, invalida, viziata, inesatta. E’ quindi, evidente che la validità dell’atto cessa quando la motivazione non c’è o è carente o è apparente, o infine è insistente.

Ciò vuol dire anche e sopratutto  che lo sviluppo parametrico-statistico dei maggiori ricavi nella fattispecie non è applicabile, pertanto la presunzione di cui all’art. 39, 1 comma, lett.d) è priva del carattere della gravità, della precisione e della concordanza. La conseguenza è nella nullità dell’atto. Come ha ribadito la Commissione Tributaria Regionale di Bari, Sez. 7, Sentenza n. 103 del 26 giugno 1999, “Il meccanismo dell’induttivo, non può essere utilizzato in ogni e qualsiasi situazione, ma solo in presenza di determinati presupposti che ne condizionano la validità sul piano normativo. Inoltre è altrettanto noto che l’atto conclusivo della procedura di accertamento, che manifesta all’esterno l’esercizio del potere impositivo della Pubblica Amministrazione, deve essere sorretto da idonea e congrua motivazione perchè possa ritenersi garantito il pieno e puntuale esercizio del diritto di difesa del contribuente. Se la presunzione non ha i connotati previsti  dalla legge non può racchiudere gli ulteriori caratteri della gravità, precisione e concordanza indicati in modo espresso dagli art. 38, comma3, e 39, comma 1, del D.P.R. 29.9.1973, n.600.  La motivazione risulta, altresì, inidonea poichè per il procedimento di controllo, assume rilevanza la fase del contraddittorio con il contribuente, che, come avverte la circolare Ministeriale 157/E del 7.8.2000, consente agli uffici fiscali di conoscere e considerare le specifiche caratteristiche dell’attività esercitata e di adeguare il risultato dell’applicazione dei parametri (studi di settore) alla particolare situazione dell’impresa o della  professione esercitata. La stessa Circolare 157/E prosegue, affermando che: “ Gli Uffici dovranno attentamente valutare i fatti e le circostanze rappresentati dal contribuente, al fine di pervenire alla definizione dell’accertamento in sede amministrativa”.     

L’avviso di accertamento va motivato sotto due profili concettualmente e giuridicamente distinti: da un lato occorre giustificare l’esistenza dei presupposti che legittimano l’accertamento induttivo,  dall’altro devono essere indicate le ragioni che supportono i calcoli effettuati per la determinazione del maggior reddito.

L’obbligo di una adeguata motivazione degli atti amministratrivi che incidono su situazioni giuridiche soggettive ( qualificabili vuoi come diritti soggettivi vuoi come interessi legittimi) del contribuente, costituisce un principio generale del nostro Ordinamento Giuridico, come tale applicabile anche nel sistema normativo tributario, nonchè un principio di civiltà giuridica tendente a salvaguardare la fondamentale ed insopprimibile esigenza di circondare la sfera patrimoniale del contribuente di un adeguato strumento di garanzia, consentendo il controllo giurisdizionale dei limiti legali del potere di imposizione ( così Cass.  10.1.1973, n.24, Corte Cost. 8.2.1966, n.7 e Cons. di Stato 30.4.1966) ed assicurare, quindi in ogni caso al contribuente, di fronte alla pretesa tributaria una difesa adeguata delle proprie ragioni ( Cass. 26.10.1988, n. 5783; 13.7.1989, n.3285; 20.11.1989, n. 4966).

Un sensibile rafforzamento della tutela della posizione del contribuente discende dalla previsione dell’art. 3 della Legge n. 241 del 1990 che ha generalizzato l’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti amministrativi. Il comma 3 del citato art. 3 precisa che la stessa motivazione deve estendersi ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, norma ripresa integralmente nell’art. 7 della Legge 27.7.2000,n. 212 ( Lo Statuto del contribuente).

E’ chiaro, quindi, che la semplice menzione nell’accertamento di una o più norme regolatrici del sistema tributario, in mancanza di indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, nonchè degli elementi oggetto di calcolo, non può mai costituire “motivazione”, specie se la motivazione non tiene affatto conto delle puntuali e dimostrate giustificazioni addotte dal contribuente con memorie durante il contraddittorio, quali:

  • La società ha iniziato l’attività nei primi mesi dell’anno 1997 avviando la lavorazione per conto terzi. Comincia a dotarsi di macchinari, tessuti, materie sussidiarie, di consumo e quindi va alla ricerca di clienti committenti. Per quanto l’impresa sia di piccole dimensioni, tenta di prevedere e programmare l’attività da svolgere ed ovviamente assume notevoli impegni finanziari. Da un primo concreto consuntivo fatto alla fine del 1998 emerge in tutta evidenza l’andamento negativo degli affari, tanto da bloccare per i successivi esercizi 1999, 2000 e 2001, ogni ulteriore iniziativa produttiva interna per concentrarsi sullo smobilizzo di quanto prodotto per creare liquidità e pagare fornitori e creditori, non esclusa la vendita di un rilevante parco macchinari. Va detto che trattandosi di capi destinati al “ Pronto Moda”, fu deciso di cedere i capi a prezzo di costo e, in prossimità del mese di settembre, un buon 40% sottocosto, anche perché l’inverno 2000 fu molto mite e la domanda di capi fievole.
  • Saltò tutto il piano industriale e dal conto economico del bilancio 2000, emergono i seguenti dati significativi che vanno analizzati ed apprezzati:
    • Le rimanenze iniziali e gli acquisti per lire 348xxxxxx.300, furono  ceduti nell’esercizio per complessivi 3xxxxxx61.483, accumulando una prima perdita secca. Si osserva che ove detta operazione fosse stata rinviata all’anno successivo 2001, sicuramente si sarebbero incassati non più di 10xxxxxx.000.=, registrando una stratosferica perdita;
    • L’assenza di costi per lavoro dipendente ( ciò dimostra che l’azienda per l’anno 2000 non ha prodotto nulla); 
    • La presenza di pochi ed insignificanti costi a dimostrare che non ci fu attività produttiva.
  • La verità dei fatti, e l’evidente capacità di aver saputo contenere il disastro, è palesemente leggibile e riscontrabile nel conto economico del 2001, nel quale, tra i costi d’esercizio, persiste la mancanza di costo per personale dipendente e di altri costi significativi, limitando la perdita a solo 15.763.049.
  • A FINE 2000 LA SOCIETA’ AVEVA CONTRATTO GIA’ UNA PICCOLA MONTAGNA DI DEBITI.
  • STUDI DI SETTORE EVOLUTI– Per le suesposte ragioni, dato il caso fuori della norma, il meccanismo degli studi di settore, proprio perché misuratore medio statistico e strumento indiziario, non può trovare applicazione; d’altronde previsto dalla stessa norma nei suoi lineamenti di ragionevolezza. Tuttavia, lo studio riformulato con gli studi evoluti(all.6 ) e tenendo conto di alcuni dati che necessariamente vanno corretti, segna la non congruità per euro 40.xxxx0,00, notevolmente inferiore ai presunti valori segnalati da Codesto Ufficio.        

2)      Le considerazioni, più che motivazioni, che l’Ufficio fa e riporta alla pag. 4 dell’atto di accertamento in capo alla società, sono constatazioni della realtà operativa dell’azienda. Si legge al tal riguardo : “ …comunque, si rileva che tali redditi d’impresa dichiarati per gli anni 1998 e 1999 si appalesano del tutto deficitari e antieconomici a fronte dei rispettivi volumi d’affari”. E’ d’obbligo allora chiedersi, qual’ è il nesso  tra la deficitarietà del reddito d’impresa legato al volume d’affari e il reddito  che, invece, scaturisce dai maggiori ricavi da studi di settore ottenuti partendo dai costi aziendali?. Ma!. Ma indipendentemente da tutto ciò, l’Ufficio ignora la configurazione del conto economico dell’azienda in fase di fallimento o in stato comatoso. I fattori possono essere:

  • Costi maggiori dei ricavi (lievitazione dei costi fissi e ricavi insufficienti):
  • Ricavi inferiori ai costi (ricavi contratti per perdita quote di mercato);
  • Le due cause succitate contemporaneamente.

IN TUTTI E TRE I CASI L’APPLICAZIONE DEL METODO STUDI DI SETTORE DA IL RISULTATO COMUNQUE E SEMPRE DI MAGGIORI RICAVI. Infatti, i coefficienti si applicano solo sui costi d’esercizio e lo strumento non consente di apportare alcuna modificazione o correzione per l’adeguamento della realtà aziendale; ( da qui le  numerose raccomandazioni diramate con Circolari dello stesso Ministero agli Uffici di valutare attentamente ogni caso, le ragioni, i fatti che i soggetti interessati vorranno rappresentare in fase del contraddittorio.

3)      L’Ufficio dice rimanenze iniziali Lire 15xxxx71.000 più le materie prime acquistate pari a lire 19xxxx.000 (dato errato perché esse sono 174xxxx9.670), per un costo di lire 3xxx234.000 si presume siano state lavorate da terzi e quindi …L’affermazione è errata perché le rimanenze iniziali 2000 di lire 1xxx471.000 non sono tutte materie prime da lavorare come sostiene l’Ufficio ma sono così composte:

materie prime per lire 4xxxxxx00 e lire 11xxx5.600 per capi finiti ( all. n. 9         costituito da n. 16 fatture di acquisto di prodotti finiti nel 1999 per lire 12xxxx800 dei 1xxxx043.300 complessivamente acquistati ) costituenti rimanenze finali 99 (iniziali 2000) e ( all. 10  bilancio a due sezioni anni 1999 e 2000). La realtà operativa aziendale è assai più complessa di quanto si pensi. Per esempio le giacche acquistate con fattura n. 24 del 9.3.1999 dal fornitore “Axxxqualina”, sono state successivamente vendute al cliente H.xxxx. S.r.l. di RosxxxxFano (PV) al prezzo cadauno di lire 1xxxx00, fattura n.8/2000, con appena il ricarico dell’11%, misura assolutamente insufficiente per sostenere i costi aziendali correnti (all.11) e finanziare l’attività futura. NEL CASO IN ESAME SI E’ TRATTATO DI STRATEGIA SBAGLIATA INDIVIDUATA NELLA GIOVANE ETA’ DELL’ACCOMANDATARIO E POCA ESPERIENZA.        

4)      A pag. 5 dell’accertamento l’Ufficio commette una LEGGEREZZA, ovvero afferma che i due soci, non risultando che esplichino altra attività, sono da ritenere entrambi occupati nella società nella misura del 100%.

E’ grave che l’Ufficio non distingua la figura del socio accomandante da quella dell’accomandatario. L’accomandante, infatti, può, ma non è detto, essere occupato nella società (in tale evenienza tuttavia dovrà obbligatoriamente risultare dai libri paga e matricola ); ma non è il nostro caso dal momento che il socio accomandante Fxxxxraio, che detiene  l’80% di quote, per l’anno 2000,  era impegnato in xxxxxx e più esattamente il 17.xxx00 si laureava in Economia politica con voti centodieci su centodieci e lode, presso l’Università LUIGI BOCCONI (all. 12 ) ed il 2xxxgiugno 2000 partiva per il militare per congedarsi il 1xxxxx4.2001 (all. 13).

5)      L’evoluzione dell’attività aziendale con riferimento alla movimentazione acquisti è ben rappresentata dal prospetto che segue:

 

Esercizio Tipologia Rimanenze   Iniziali Acquisti Rimanenze   Finali
1999 Materie   PrimeCapi   Finiti L.5xx329.200L.1xxxxx59.700 L.   1xxx01.821L.   13xxxx3.300 L.4xx75.500L.   xxx95.600
2000 Materie   PrimeCapi   Finiti L.   43.475xx00L.11xxxx5.600 L.1xxxx56.200L.   4.xx7.600 zerozero
2001 Materie   PrimeCapi   Finiti zerozero L.   2.7xxx5.322zero zerozero
2002 Materie   PrimeCapi   Finiti zerozero €.   6.8x,x00 €   2xxx1,00

Si evince con chiarezza che l’azienda, a seguito della disastrosa gestione delle vendite, abbandonò immediatamente la politica commerciale della vendita “ Pronto Moda” per dedicarsi esclusivamente alla lavorazione per conto terzi nella convinzione di:

  • Recuperare liquidità svolgendo la lavorazione c/terzi da destinare, sia pure con piani di rientro, al pagamento degli ingenti debiti contratti;
  • Dover rivedere il programma aziendale e decidere quale attività principale era da svolgere in futuro.

6)      Continuando a pag. 5 dell’atto impositivo relativo alla S.a.S.,  ed in merito ai cespiti ammortizzabili, si fa presente che già più volte nel corso degli incontri è stato riferito all’Ufficio che non avendo prodotto alcun capo nell’esercizio 2000, i cespiti ammortizzabili da considerare correttamente non erano quelli indicati nell’originario studio di settore, il quale fu compilato all’epoca, sotto scadenza dichiarazione dei redditi, e si immagini con quale precisione!. Spirito della norma, raccomandazioni del Ministero dell’Economia e Giurisprudenza avvisano che i beni ammortizzabili non partecipanti al processo produttivo, non vanno considerati nel calcolo degli studi di settore.

7)      Infine nella parte conclusiva, pag. 5, si legge:

“il contribuente non si è adeguato agli studi di settore in sede di compilazione del modello 2001 per i redditi 2000; tenuto conto che l’applicazione dello studio di settore ha consentito all’Ufficio di determinare i ricavi fondatamente attribuibili all’attività tenendo conto delle caratteristiche strutturali dell’attività svolta e dell’ambiente economico in cui opera…”

Si osserva, a malincuore, che l’Ufficio non applica correttamente ed in trasparenza,  la normativa di riferimento in quanto:

  • Nessuna norma tributaria obbliga il contribuente ad adeguarsi in fase di  dichiarazione dei redditi;
  • L’Ufficio non può determinare i ricavi;
  • Non è vero che ha tenuto conto delle caratteristiche dell’azienda;

L’imposizione tout court e violenta,  non rispettosa delle leggi,  viola gli artt. 3- 23-53-97- della Costituzione:

Dopo l’ampia dimostrazione ne consegue che i sottoscritti contestano in toto l’assunto secondo il quale “l’applicazione  degli studi di settore consente di determinare i ricavi fondatamente attribuibili ai singoli contribuenti tenendo conto delle caratteristiche strutturali dell’attività svolta e dell’ambiente economico in cui il contribuente opera”, se la determinazione non è supportata da elementi certi e giusti, riconducibili al soggetto passivo d’imposta e che consentano all’Amministrazione di enunciare presunzioni semplici, purchè gravi precise e concordanti.

NONOSTANTE TUTTO CIO’ L’UFFICIO NON VUOLE DEFINIRE IL CASO CON L’ARCHIVIAZAIONE DELLA PRATICA MA, PRESO DALL’UNICO E SOLO OBIETTIVO DI FARE CASSA ( l’esercizio 2000 si prescrive il 31.12.2000!.), PROPONE L’ABBATTIMENTO DEL PRESUNTO MAGGIOR RICAVO, A SCELTA DEL CONTRIBUENTE, IGNORANDO OGNI RAGIONE  DELLA PARTE E SNATURANDO LA FUNZIONE DELLO STRUMENTO “STUDI DI SETTORE” PER IL QUALE PREZIOSO ED UTILE MEZZO INDIZIARIO SONO STATE SPESE INGENTI ENERGIE E SCIENZA. 

  • INCOMPATIBILITA’ DELLO STRUMENTO STUDI DI SETTORE CON IL SISTEMA DI ACCERTAMENTO ACCOLTO DAL LEGISLATORE DELLA RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1971.

Il sistema di accertamento del reddito e del volume dei ricavi per gli imprenditori commerciali e gli esercenti arti e professioni, quale emerge dal tessuto normativo della riforma tributaria del 1971, appare caratterizzato:

a)      dall’estensione di obblighi formali, di carattere strumentale rispetto al prelievo, a tutti i soggetti rientranti nelle citate categorie;

b)      dalla molteplicità di tali obblighi e dalla rigidità della loro disciplina, al fine di pervenire a dati numerici precisi;

c)      dalla previsione di sanzioni elevate in caso di violazioni di obblighi formali allo scopo di assicurare il loro adempimento, considerato essenziale ai fini dell’accertamento;

d)     dall’attribuzione di rilevanza preminente alla regolare tenuta della contabilità, sì da potersi ritenere che essa fa prova a favore del contribuente;

e)      dalla  circostanza che, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito o di un maggior volume d’affari rispetto ai dati dichiarati, incombe sul Fisco l’onere di fornire le prove in contrasto con le risultanze contabili.

Se tale è il sistema di accertamento voluto dal legislatore della riforma del 1971, il meccanismo degli studi di settore si presenta come un corpo estraneo, inconciliabile con la logica che ha ispirato le norme emanate negli anni 1972/1973, tuttora vigenti nel loro impianto originario.

  • FALSA ED ERRONEA APPLICAZIONE DELL’ART. 39, COMMA 1 LETT. d) D.P.R. N.600/73 E ART 55 D.P.R. 633/72.

La norma base è l’art. 62-sexies del D.L. 331/1993, il quale dispone che gli accertamenti analitico-induttivi ( art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. 600/73)  possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore. La norma richiama gli accertamenti disciplinati all’articolo 39, comma 1, lettera d) del D.P.R. 600/1973, che possono essere effettuati sulla base di presunzioni semplici, purchè queste risultino gravi, precise e concordanti. Già questo dato potrebbe essere sufficiente per affermare che gli studi di settore poggiano su presunzioni semplici e non legali. E’, però, determinante il fatto che l’art. 62-sexies del Dl 331/1993 prevede che l’accertamento può essere effettuato quando emergono gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore. In sostanza, appare evidente che il legislatore non ha ritenuto sufficiente il risultato di Gerico per individuare i ricavi del contribuente, ma ha richiesto la presenza di “gravi incongruenze” tra le due grandezze. Gravi incongruenze che, proprio per superare i limiti delle metodologie accertative fino ad allora seguite ( es: coefficienti e minimum tax), dovevano e devono caratterizzare la richiesta del Fisco, “personalizzata”, e, quindi, richiedendo agli uffici un ulteriore elemento di valutazione rispetto a Gerico.

La Giurisprudenza sta affermando gli stessi concetti. Si va dalla Sentenza 2891/2002 della Corte di Cassazione ( che ha precisato che per legittimare un accertamento di tipo analitico-induttivo non è sufficiente la mera applicazione matematica degli studi, ma occorre che le loro risultanze siano confortate da altri indizi), alle varie Commissioni Tributarie Provinciali (Macerata, Milano, Lucca), e della CTR Puglia, Sentenza 19.5.2006, n.42/1/06.

L’autore BENEDETTO SANTACROCE, in il Sole 24 ore del 7.2.2000, scriveva:  “”I parametri e gli studi di settore, ai sensi del combinato disposto degli articoli 62 bis e 62-sexies del Dl 331/93, costituiscono specifici strumenti di accertamento idonei ad aiutare l’A.F. a rettificare  le gravi incongruenze mascherate dalla correttezza formale delle scritture contabili. Questi strumenti, anche se con un livello di affidabilità e di sofisticatezza diversa, possono condurre alla realizzazione di rettifiche di natura analatica presuntiva. D’altro canto, bisogna rilevare  che la formulazione delle norme citate non consente di affermare, in senso assoluto, che il semplice scostamento dagli studi di settore ovvero dai parametri possa essere di per sè sufficiente a configurare quelle “ gravi irregolarità” che possono essere alla base di una qualsivoglia accertamento fiscale. Conferma in tal senso è rilevabile dall’art. 10 della legge 146/98 che, in materia di accertamento, fa sempre ed unicamente riferimento agli accertamenti analitici basati su elementi presuntivi di cui all’art. 39, 1° comma, lettera d) del D.P.R. 600/73. Evidentemente il legislatore richiamando la particolare norma e non anche l’art. 39, 2° comma, del D.P.R. 600/73 ( accertamento induttivo) si è reso conto della portata limitata dei particolari meccanismi e ha voluto intendere che gli studi e i parametri costituiscono elementi motivazionali importanti per infrangere la perfetta correttezza contabile, ma non sono di per sè idonei a consentire un accertamento vero e proprio se esso stesso non viene suffragato da ulteriori elementi di natura analitica che vengano ritrovati attraverso l’analisi delle scritture ovvero attraverso l’esperimento e la realizzazione di controlli indiretti di altro genere esperiti in sede di accertamento con adesione. Lo stesso Ministero delle Finanze, illustrando la portata della riforma connessa all’introduzione dei nuovi strumenti di accertamento presuntivo, nella Circolare 110/E del 21.5.1999, ha sottolineato con chiarezza che la naturale conclusione delle specifiche procedure di controllo è rappresentata non tanto dall’avviso di accertamento, ma dall’istituto dell’accertamento con adesione. Istituto che consente la creazione di un contraddittorio con il contribuente e offre a quest’ultimo di addurre diversi tipi di giustificazione. Proprio alle giustificazioni il Ministero delle Finanze dedica un’ampia parte del suo intervento. Così facendo, da una parte, vuole convincere i contribuenti della flessibilità del particolare strumento e, dall’altra, implicitamente ammette, l’efficacia limitata connessa agli studi di settore.

 Circa gli inviti ed il contraddittorio con l’Ufficio, anche la Circolare n. 203/E del 20 ottobre 1999, ha ribadito che in detta fase è possibile correggere i dati esposti nella dichiarazione originaria, possono essere portate prove e giustificazioni  sufficienti a dimostrare la non applicazione dei parametri; insomma il contraddittorio consente una più ragionata e fondata misurazione del presupposto impositivo, che tenga conto degli elementi di valutazione offerti dal contribuente, con il primario obiettivo di pervenire alla definizione della posizione in sede amministrativa attraverso  l’istituto dell’accertamento con adesione. Infine, l’Ufficio deve tener conto delle ragioni evidenziate dal contribuente, motivando negli atti l’accoglimento ovvero il rigetto delle stesse. ( C.M. 3.10.2000, n. 175/E/2000/195719, paragrafo 4.3., ultimo comma ). Il Ministero, quindi, ha demandato agli Uffici un compito di capacità tecnica, assai delicato, di responsabilità, ma sopratutto di attitudine alla corretta ed oggettiva valutazione della pratica. L’obiettivo prioritario deve essere quello di definire con l’adesione del contribuente. Come precisa lo stesso Ministero delle Finanze nel paragarfo 4.3 “ contraddittorio” della Circolare 157/E del 7.8.2000, il risultato dei parametri non deve prescindere dal considerare la peculiarità dell’attività svolta in concreto e, perciò, deve tenere conto della particolare situazione dell’impresa o della professione esercitata. Nessun strumento induttivo, siano essi i parametri o gli studi di settore, può obbligare il contribuente a dichiarare più di quanto effettivamente incassa, nè laddove la norma consente di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili e di avvalersi anche di presunzioni prive di “ gravità, precisione e concordanza”, deve essere pur sempre interpretata come norma volta a determinare la capacità contributiva del singolo contribuente sulla base di argomentazioni logicamente attendibili, non già a consentire che tali particolari modalità accertative siano utilizzate per determinazioni non accurate o addirittura per punire il contribuente.

Il contribuente, durante il contraddittorio, ha prodotto esaustiva memoria eplicativa contenente i motivi dei ricavi effettivi conseguiti, ancorchè risultati inferiori a quelli determinati dall’Ufficio. In presenza di questi elementi l’atto di accertamento resta privo di qualsiasi motivazione, data l’inabilità conseguente alla mancata ultimazione di atti precedenti l’emissione dell’atto di accertamento. Ne consegue la nullità dell’accertamento.

  • INFONDATEZZA DELL’ACCERTAMENTODISAPPLICAZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE.

L’accertamento non indica, non spiega quali variabili siano state considerate, nè indica il gruppo di appartenenza, nè i coefficienti impiegati. Il contribuente subisce l’insieme dei calcoli senza conoscerli e quindi poter verificare. Fatto questo di inaudita gravità se si considera, ulteriormente, che l’art. 42 del D.P.R. 29.9.1973, n.600, al secondo comma,  sancisce che l’atto di accertamento è nullo se in esso manca l’indicazione delle aliquote applicate e delle imposte liquidate. Si aggiunga infine che all’accertamento non è stato allegato il Decreto indicante le modalità con cui si perviene al nuovo risultato, motivo per il quale si chiede la disapplicazione degli studi di settore.

Facendo riferimento ad alcuni di questi fattori, i giudici tributari hanno recentemente emanato una serie di Sentenze che, accogliendo le ragioni del contribuente, hanno negato l’automatica applicazione delle risultanze matematiche da studi di settore.  L’Ufficio non può fondare un avviso di accertamento del maggior reddito esclusivamente sull’applicazione degli studi di settore poichè è necessario che verifichi sempre se detto strumento matematico-statistico di determinazione dei ricavi risulti affidabile rispetto alla particolare situazione in cui opera l’azienda sottoposta a verifica e, soprattutto, con il conforto di ulteriori elementi di prova”. ( CTP di Bari, sezione VIII, 11.9.2006, n.113).    

v  Dal momento che gli studi di settore sono congegnati  per i soggetti che operano in normali condizioni di attività, è evidente che non sono applicabili, per primo quale strumento indiziario e per secondo, mai, come determinazione dei ricavi, al caso in esame visto che l’azienda:

  1. per l’anno in esame non ha prodotto neppure un capo all’interno ma ha affidato all’esterno, cioè a terzi operatori l’esecuzione, il taglio, la cucitura, lo stiro e l’imbustamento dei capi.
  2. per l’anno 2000 no ha avuto dipendenti;
  3. In sostanza si è comportata come una “ commerciale” e quindi varia il codice attività e quello assegnato ai fini degli studi di settore. Ciò che preme evidenziare è che il codice SD07C impiegato dall’ufficio per SVILUPPARE il maggior ricavo è improprio poichè si riferisce ai soggetti che producono all’interno, cioè alle aziende il cui ciclo produttivo avviene interamente all’interno. SI VUOLE DIMOSTRARE CHE LO STRUMENTO STUDI DI SETTORE FORNISCE UN VENTAGLIO DI ESITI E BASTA VARIARE ALCUNI DATI PER CONSEGUIRE RISULTATI COMPLETAMENTE DIFFERENTI.
  4. 4.      Il parco macchinari rimasto, nel patrimonio aziendale, per l’anno 2000 non è stato per nulla utilizzato, in quanto, come sopra riferito, l’azienda non ha prodotto capi. Allora, dal calcolo degli studi di settore il valore storico di acquisto dei suddetti beni, che forma la base su cui applicare i coefficienti dei presunti maggiori ricavi, non va indicato, altrimenti si conseguirebbero ricavi dall’utilizzo dei macchinari quando invece non sono stati impiegati. Questo semplice dato, unitamente al fatto che dal calcolo studi di settore si ottengono solo maggiori ricavi e MAI SEGNI NEGATIVI, mostra l’assoluta inefficienza, inefficacia ed infonfatezza degli studi di settore se impiegati solo quale mezzo per ACCERTARE E DETERMINARE maggiori ricavi.  
  5. 5.      L’azienda aveva deciso di operare sul “Pronto Moda”, cioè produrre o far produrre all’esterno “n” capi o acquistare prodotti finiti, senza aver acquisito preventivamente gli ordini dai clienti. Questo tipo di attività, rispetto alla tradizionale, consente di immobilizzare ingenti capitali per l’acquisto di tessuti e per la lavorazione se non per pochi mesi e vendere con ricarico più adeguato; il rischio è però, come si è verificato nel caso in esame, che si sbaglino le previsioni quantitative, modelli e la quantità delle vendite perchè legate all’andamento della temperatuta del periodo.

Gli eventi:

  • Il drastico calo del volume d’affari;
  • le vendite dei capi fatte a prezzi di stock perchè in prossimità del fine stagione (all.17 composto da n. 11 fatture emesse);
  • modalità operative (senza dipendenti e senza l’uso di macchinari);
  • sommatoria errori gestionali;
  • necessità di mezzi finanziari

costituiscono causa e motivo di annullamento di ogni significato  da attribuire al codice attività con la conseguenza che non è possibile parlare di studi di settore. Cioè non vanno ridimensionati i ricavi come ha fatto l’Ufficio ma va radicalmente annullata ogni pretesa erariale. SI ERA IN PRESENZA DI ESERCIZIO SENZA  “normalità economica”. IL CODICE ATTIVITA’ OGGETTIVAMENTE E’ CAMBIATO E LO STESSO VA FATTO PER IL CODICE STUDI DI SETTORE.

  1. 6.      La tabella sottostante evidenzia con quanto poco o nullo margine e  sotto costo, l’azienda, per cause diverse,  ha dovuto operare nell’anno 2000:
Costo medio pantaloni donna costo medio tessutofatt.F.I.T. costocerniere,gruccia,bottoni costomediolavorazionedi terzi

Coop. Sud

Coop Flesh

totale note:vedasi fatture di vendita n.4 del 31.10n.6 dell’1.11n. 7 dell’8.11

n.8 del 15.11

n.10 del 13.12 tutte dell’anno 2000.

(all. 19)

10.000×1,10mt£. 11.000 £.1xxx00 $$£$$0 £17.xxx
Costo medio Gonne costo medio tessutofatt.F.I.T. costo Fodera costocerniere,gruccia,bottoni,

buste

costomediolavorazionedi terzi

Coop. Sud

Coop Flesh

totale note:vedasi fatture di vendita n.6 del 11.11n. 7 dell’8.11n.8 del 15.11

n.10 del 13.12 tutte dell’anno 2000.

(all. 20)

10.000×1,00mt£. 10.000 1.300 x0,60£.780 £.1.xxx0 £.4xxx0 £1xxxx80
Costo medio cappotto donna costo medio tessutofatt.il   Telaio S.p.A. costo FoderaFatt. Real costospalline ,gruccia,bottoni,

buste

costomediolavorazionedi terzi

Fatt. LC3

totale note:vedasi fatture di vendita n.9 del 29.11. 2000. SOTTO   COSTO. (all. 21)
11.500×2,20mt£. 2xxxx0 1.300 x1,50£.1.xx0 £.1.000 £.30xxxxx £5xx0

                 

Si deduce, pertanto, che se i risultati degli studi di settore sono importanti e gravi rispetto ai ricavi dichiarati, possono essere assunti quali elementi ( indizi) ai fini degli accertamenti analitici-induttivi di cui all’art. 39, 1 comma, lett.d), D.P.R. 29.9.73, n.600, il quale resta l’unico metodo previsto dalla legge.  La CTR di Bari, Sez. I, 24/8/2006, n. 67, chiarisce che i parametri o studi di settore non possono costituire essi stessi elementi sufficienti a motivare l’accertamento ma sono unicamente semplici indizi che, unitamente e a completamento di altri elementi acquisiti dall’Ufficio, possono tutt’insieme generare presunzioni semplici aventi i caratteri della gravità, precisione e concordanza ( CTR di Bari, Sez.I, 19.5.2006, n.42 ).

La CTR di Bari, sez. VII, 9.5.2006, n.150, ha stabilito che l’accertamento del maggior reddito non può fondarsi sulla mera differenza tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dei parametri ( o studi di settore rappresentando quest’ultimi l’evoluzione dei parametri) sopratutto quando, il procedimento di determinazione presuntiva dei maggiori ricavi è inficiato da errori materiali ( nel caso del ricorrente non ci sono altri elementi e quelli indicati sono inidonei, errati, infondati e sopratutto NON INERENTI). Prosegue la Sentenza attestando che nell’accertamento devono essere indicati i presupposti di fatto e il ragionamento logico adottato dall’Ufficio alla stregua del quale la stessa determinazione presuntiva ha assunto la natura di presunzione grave, precisa e concordante. In questo senso vds.CTR di Bari, 16.2.2006, n.8.

  • CONTRIBUZIONE I.N.P.S.- L’ufficio qualifica erroneamente la società ricorrente “Artigiana” ed imputa ai due soci il presunto maggior ricavo:
SOCIO Qualità % QUOTA   DI PARTECIPAZIONE IMPORTO   CONTRIBUTI NOTE
xxella   Frxxxxsca accomandatario 20 22.6xxxx000 3.675xxxxxxxx0 l’attribuzione   è errata
Fxxxxxcella   Giorgixxx accomandante 80 3xxx33.000 6.4xxxx.000 NON   DOVUTI

La società e quindi i due soci non sono iscritti nell’Albo delle Imprese artigiane e nella relativa cassa previdenziale, né sarebbe stato possibile perché il socio accomandante NON E’ ISCRIVIBILE NELLA CASSA PREVIDENZIALE DEGLI ARTIGIANI. La società è iscritta al REA E REGISTRO IMPRESE come industria; di conseguenza i contributi e le sanzioni non sono attinenti al caso in esame ( all. 14 e 22).

  • AVVISI DI ACCERTAMENTO DEI SOCI xELx E GIxxxO.
    • I ricorrenti contestano integralmente i rispettivi atti, le cui quote di reddito attribuite ai soci dall’Ufficio, derivano dai presunti maggiori ricavi da studi di settore in capo alla S.a.S.. Le ragioni ed i motivi di contestazione  sono gli stessi addotti dai ricorrenti per la S.a.s..
    • INPSI contributi Inps non sono dovuti  perché l’azienda era iscritta presso la C.C.I.A.A. di Bari, sezione industria e non presso la sezione artigiani, come erroneamente riportato dall’Ufficio (all.14). Inoltre, il socio accomandante Fraxxxxrgio per tutto il 2000 non ha partecipato ad alcuna attività lavorativa in azienda (all.12 e 13).
    • Socio accomandante – Il socio accomandante, art. 2313 del C.C., è privo di potere amministrativo ed è responsabile solo nei limiti della quota di capitale conferito. La Cassazione ha stabilito la nullità di eventuali clausole che prevedano la responsabilità dell’accomandante per perdite oltre il capitale conferito. La S.a.s. Oxxxxp per l’anno 2000 ha chiuso il bilancio con la perdita di L. 79xxxx.020, a cui vanno sommate le presunte imposte, sanzioni ed interessi in capo alla S.a.S. da accertamento; complessivamente la perdita economica della società è ben superiore alla quota disponibile di capitale dell’accomandante che ammonta a L.16xxxx0.000.=         

P. Q. M.

Viene a finale considerazione che i cinque avvisi d’accertamento, tre della S.a.S. di cui due notificati ai due soci e due personali in quanto soci,  sono completamente estranei al nostro Stato di Diritto e dal suo Ordinamento Tributario, per violazione di norme Costituzionali, illegittimità, infondatezza, illiceità, abuso, arbitrarietà, e quindi da ritenersi nulli o soggetti a censura di annullamento.

Il sottoscritto, richiamando ciascun punto del ricorso,

CHIEDE

A) – Ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. 31.12.1992, n.546 e s.m. a Codesta On.le Commissione la sospensione dell’atto impugnato.

La sua impossibilità a solvere in conformità alle conseguenze impositive ed esattive, si ancora e si raccorda al seguente ordine di motivi:

  • l’Ufficio, non avendo saputo valutare la capacità economico-contributiva dello stesso contribuente, l’ha posto nelle prevedibili condizioni di danno di cui sopra;
  • Il contribuente non dispone delle somme da destinare al pagamento parziale, né può procuraselo attraverso il sistema bancario per mancanza di affidamenti. La società ha regolato debiti del 2000 a mezzo effetti cambiari, in  particolare al fornitore Il Telxxxx S.p.A. a fronte del debito residuo di € 2xxxx07,85 furono rilasciati in conto n. 9 effetti passivi per complessive € 6.4xxxx00 (all. 15 ), mentre  al fornitore Fabbxxxa Tessuti S.p.A. a fronte del debito residuo di € 6xxx01,22 furono rilasciati n.9 effetti passivi per complessive € 18xxx0,00 (all. 16 ). Ancora oggi l’azienda sta soffrendo le conseguenze della disastrosa gestione degli anni 1999 e 2000, ma sta onorando ogni impegno verso Enti previdenziali, Erario, TFR dipendenti (all. 18 bilancio 2006).

L’indole giuridica della chiamata esattoriale, ingenerata dagli atti fiscali da accertamenti o rettifiche, è data da norma, dottrina antipositivista, ispirata da un genere di norma di difficile qualificazione, ma che sicuramente ha tanto contribuito a gettare ombre sulla riforma del contenzioso tributario (Andrea Colli Vignarelli, ricercatore nell’Università di Messina: in Rassegna tributaria n. 23 Maggio-giugno 1996).

La natura giuridica dell’intervento esattivo, come riflesso dell’efficacia esattoriale degli avvisi ed annessi, sia esso a titolo di “ deposito fruttifero” o di vero anticipato pagamento (se pur parziale), una volta individuata e stimata l’incostitutività dell’atto e l’inesistenza degli essenziali parametri di misurazione dell’effettiva capacità contributiva del contribuente, è vista e sentita tuttora, come irragionevole ed anticostituzionale, anche per gli aspetti ed i caratteri di disuguaglianza dell’istituto riscossivo anticipato, quando la fattispecie è ancora sub iudice.

Venuta alla ragione ed alla constatazione il dato di fatto che la capacità contributiva è inesistente, intesa, se pur largamente, non solo come capacità economica, ma come capacità suscettibile di fornire al soggetto gravato della prestazione impositiva i mezzi finanziari occorrenti per l’assolvimento della stessa, nell’umana ragione non vi è possibilità di acquisire la circostanza che essa incapacità di poter disporre, la si tramuti in capacità solutoria (per giunta in crescendo); nell’attesa che il o i procedimenti giurisdizionali si svolgano e si concludano. Non s’ignorano, già si conoscono le peripezie, il travaglio della Corte Costituzionale e delle battaglie da essa combattute, per giungere ad affermare che:

a)      – per quanto attiene gli aspetti procedimentali, la garanzia dell’osservanza della capacità contributiva, si manifesta solo in via mediata ed indiretta, per questo in caso di violazione si determina contemporaneamente, se non esclusivamente, contrasto con l’art. 24 della Costituzione;

b)      –In ordine all’atto di accertamento allorchè si presenti privo di ragionevolezza (o addirittura irrazionale: è il nostro caso) contrasta sia con il principio di capacità contributiva che con quello di difesa.

L’art. 53 della Costituzione è norma di reciprocità di rispetto. Che altro senso avrebbe altrimenti l’espressione: “ in ragione della loro capacità contributiva”, se non quella di comando giuridico, dato prima al legislatore e poi a chi attua i procedimenti di accertamento tributario, sulla base delle leggi d’imposta, di verificare, misurare, rispettare e stabilire la capacità contributiva di ciascun amministrato contribuente, in “ragione” (e con ragione) della sua valenza economica, espressa in ciascun singolo tributo. Se tutto ciò è e deve essere, si comprende bene, che così come psicologicamente ed intellettivamente costruito, costituito e strutturato l’uomo (sia esso contribuente o meno) non gli è proprio possibile assumere e giustificare un ufficio pubblico, cioè lo Stato, che s’inventa del tutto un’inesistente capacità contributiva e che a ragione di ciò e di tanto, essere pure in grado di agire, (senza interposizioni giurisdizionali), di proseguire e comprimere il cittadino.

Or dunque, si sostiene che una capacità contributiva inventata di sana pianta è già di per sé bastante a configurare motivo e prova per la concessione della chiesta sospensione dell’avviso e che qui si reitera.

B) che Codesta On.le Commissione Tributaria Provinciale di Bari, in accoglimento del presente ricorso, dichiari la disapplicazione del D.L. 30.8.1993, n. 331 convertito, con modif., in L. 29.10.1993, n. 427, l’annullamento dei cinque atti per quanto esposto in diritto negli aspetti preliminari del ricorso ed in subordine l’annullamento degli atti di accertamento, siccome  incostitutivi, radicalmente viziati ed illegittimi per violazione di legge, eccesso di potere e carenza di motivazione, nonché infondato in fatto e diritto;

C) – che l’On.le Commissione annulli l’imposizione contributi INPS e relative sanzioni per insussistenza dell’obbligo;

D) l’annullamento delle sanzioni pecuniarie di tutti gli atti impugnati..

Con vittoria delle spese di giudizio.

Si deposita:

  • copia del ricorso consegnato all’Agenzia delle Entrate;
  • fotocopia della ricevuta di deposito;
  • fotocopia di cinque atti di accertamento impugnati;
  • fotocopia n. 3 inviti n. RF3xxxx547 indirizzati alla S.a.S. ed ai due soci all.1-2-3;
  • n. 1 fotocopia verbale contraddittorio del 29xxxx.2007-all.n.4-;
  • n. 1 fotocopia memoria del 25.10.2007-all.5;
  • n. fotocopia studi di settore evoluti all. 6;
  • n. 1 fotocopia verbale contraddittorio del 12.11.2007-all.n.7-;
  • n. 1 fotocopia verbale contraddittorio del 3.12.2007-all.n.8-;
  • n. 1 blocco di n. 16 fotocopie fatture acquisti, all. 9;
  • n. 1 fotocopia bilanci esercizi 1999 e 2000 a sezioni accostate, all.10;
  • n. 1 fotocopia raffronto n. 2 fatture acquisti e vendite, all. 11;
  • n. 1 fotocopia attestato di laurea all.12;
  • n. 1 fotocopia congedo militare all.13;
  • n. 1 certificato camerale all.14;
  • n. 1 allegato costituito da n. 3 fotocopie fatture acquisto e relativi effetti passivi per debitoria verso il TelaxxxS.p.A. all. 15;
  • n. 1 allegato costituito da n. 4 fotocopie fatture acquisto e relativi effetti passivi per debitoria verso il Fabbxxxxssuti S.p.A. all. 16;
  • n. 1 blocco costituito da n. 11 fotocopie di fatture di vendita per l’anno 2000, all17;
  • n. 1 bilancio al 31.12.2006, all.18;
  • n. 1 blocco composto da n. 3 fatture di costo e n. 4 fatture di vendita, all 19;
  • n. 1 blocco composto da n. 3 fatture di costo e n. 4 fatture di vendita, all 20;
  • n. 1 blocco composto da n. 3 fatture di costo e n. 1 fattura di vendita, all 21;
  • n.2 fotocopie attestazione attribuzione redditi/perdita dell’esercizio, all.22.

Putignano, 04.01.2008                                                             Con Ossequio

Il difensore abilitato                                                                                 _____________________

Rag. Tonio Detomaso

Procura speciale

A)     La sottoscritta Fxxxxxxxscella, in questo atto prima compiutamente generalizzata, per suo personale nome e conto e per conto della Oxxxxxxxxxxxx & C. S.a.S., da lei già rappresentata, società già corrente in Putignano (Ba), alla Via Rxxxxxxxxx, come pure per la sua qualità di Persona Fisica contribuente e di socia accomandataria della stessa società;

B)      Il sottoscritto Dr. Frxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxo, in questo atto prima compiutamente generalizzato, nella sua qualità di già socio accomandante della S.a.s. Oxxxxp da Putignano, a titolo personale e per suo stesso conto.

DELEGANO

a rappresentarli ed a rappresentare la Olxxxxxxxxxca & C. S.a.s.,  già corrente in Putignano (Ba), a difenderli in tutte le sue fasi di ogni stato e grado del presente giudizio fiscale, il Rag. Tonio Detomaso, conferendogli ogni e più ampio potere, ivi compreso quello di conciliare, di farsi sostituire in udienza o altrove, di nominare coadiutori e assistenti in giudizio, di rinunziare al ricorso e agli atti, ratificandone sin d’ora l’operato.

Eleggono, altresì, domicilio, anche perla indicata S.a.s. ricorrente, presso lo studio del difensore, sito in Putignano (Ba), Via G. Pascoli, n.27/A.

Putignano, li 04/01/2008

Firma dei committenti e deleganti 

 

______________________________

 

______________________________

E’ autentica

firma del difensore

____________________________

DICHIARAZIONE DI CONFORMITA’

DELLA COPIA DEL RICORSO ALL’ORIGINALE.

Il sottoscritto rag. Tonio Detomaso, in qualità di difensore abilitato della S.a.s. Oxxxxxxxxà da Putignano (Ba) e dei soci Frxxxxxxxla Francesca e Fxxxxxxo, tutti come sopra costituitisi nella presente controversia, attesta, ai sensi dell’art.22, comma 3, del D.Lgs. 546/1992 e s.m., che questo ricorso è conforme all’originale consegnato all’Agenzia delle Entrate Ufficio di Gioia del Colle in data __________.

Firma del difensore

______________________

(rag. Tonio Detomaso)

 

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