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Ricorso avverso accertamento Irpef – Iva – (da indagine della G. d. F.)

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ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI                       BARI

Oggetto: Accertamento Anni 2001-2002-2003- IVA – IRPEF – ADDIZIONALE REGIONALE E COMUNALE IRPEF- IRAP – SANZIONI ED ACCESSORI.

RICORSO INTRODUTTIVO CUMULATIVO

Avverso gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate di Gioia del Colle, distintamente specificati, per ciascun anno d’imposta e tipo di imposta:

1) Numero RF xxxx0300271 (Prot.7xx23 del .10.2005), per l’anno 2001  Atto notificato il 07.11.2005;

–         Tributi accertati: IVA ;     Imposta accertata euro  3.8xxx2,81

2) Numero RF 301xxxxx272 (Prot.74xxx7, del 2.2005),  per l’anno 2002 Atto notificato il 07.11.2005;
– Tributi accertati: IVA ;          Imposta accertata euro  1xxx60,00
3) Numero RF 3xxxxx676 (Prot.xxx8 del 0.2005), per l’anno 2003

Atto notificato il 07.xx.2005;
Tributi accertati: IVA – IRPEF-ADD.LE IRPEF-IRAP-ADD.LE COMUNALE;

Imposte accertate Irpef euro 6xxx2,00, Add.le Regionale euro 2xx,00, Add.le Comunale euro xx6,00, Irap euro xxx4,00, I.V.A.  euro xxxxx9,00;

RICORRENTE: xxxxxxxTA  Rosaria: nata a xxxxxx) 2xx.xx4, domiciliata in Via xxxxxxx 70017 – PUTIGNANO (BA), CODICE FISCALE  xxxxxxxxxxxxxxxxxxx

CONTRO: AGENZIA DELLE ENTRATE DI GIOIA DEL COLLE.

IL DIFENSORE  TECNICO ABILITATO

Rag. TONIO  DETOMASO, nato a Putignano (Ba) il 4.9.1947, con studio alla via G. Pascoli, n.27/A, 70017 Putignano (Ba); Codice Fiscale  DTM TNO
47P04 HO96B, giusta procura alle liti rilasciata a margine di questo atto di ricorso;

CON RICHIESTA

  1. DI SOSPENSIONE DEGLI ATTI IMPUGNATI, AI SENSI DELL’ART. 47 DEL D. LGS. 31.12.1992, N.546 E S.M.;
  2. DI TRATTAZIONE DELLA CAUSA IN PUBBLICA UDIENZA, AI SENSI DELL’ART. 33, 1° COMMA DEL D. LGS. N. 546/92 ( SENTENZA N. 526 DEL
    23.6.1997, DEPOSITATA IL 23.12.1997, DELLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI SALERNO);
  3. DI ESERCIZIO DI OGNI POTERE ISTRUTTORIO, OVE OCCORRA, ESSENDO LA CONTROVERSIA FORIERA DI ASPETTI COGNITIVI DEL TUTTO PARTICOLARI, NELLA PROSPETTAZIONE DELLA RATIO DI BISOGNO E DI ASSENTIMENTO DELL’ART.7 DEL D.LGS. N.546/1992;
  4. ALL’UFFICIO DELLA P.A.F. AVVISANTE, DI ANNULLAMENTO DEGLI OPPOSTI AVVISI, MEDIANTE L’APPLICAZIONE DELL’ISTITUTO DELL’AUTOTUTELA, AI SENSI DELL’ART. 68 DEL D.P.R.  287/92 E DELL’ART.2 QUATER DEL D.L. 30.09.1994, IN LEGGE 30.11.1994, N.656 E DELLE DIRETTIVE APPLICATIVE E  REGOLAMENTARI DETTATE DALLE ISTITUZIONI GERARCHICHE SOVRAORDINATE.

———-O———-

Il sottoscritto difensore rag. Tonio Detomaso, libero professionista in Putignano (Ba), ha ricevuto mandato difensivo dalla Signora
xxxxxxxtta per l’impugnazione dei tre atti di accertamento giunti a notifica il xxxxxx05, riguardanti gli anni d’imposta 2001-2002-2003.

Egli, in esecuzione del detto ricevuto mandato difensivo, ha riscontrato la totale infondatezza ed illegittimità degli anzispecificati Avvisi Erariali, pertanto, ai sensi dell’art.18 e seguenti del D.Lgs. 31.12.1992, n. 546 e s.m.

R I C O R R E

a Codesta On.le Commissione Tributaria Provinciale, quale Giudice a Quo, affinché eserciti la relativa cognizione e decida la controversia ai sensi dell’art. 36 dello stesso D. Lgs. n. 546/1992, e s.m..

PREMESSA  AI  M O T I V I  DEL  RICORSO

v  I tre Avvisi di Accertamento, nel loro costrutto formale, sostanziale, logico e giuro-impositivo, in abbinata constatata ricorrenza della
connessione per natura tra gli stessi sul piano dei motivi, dei fatti, dei criteri di discrimine dei presupposti, dei tributi, dell’oggetto e di ogni
altro elemento giuridicamente considerabile, nella ratio dell’art.29 del D.Lgs. n.546/1992 e s.m. e delle norme del C.P.C., configurano la Condicio Iuris di proponibilità “cumulativa”  del presente ricorso.

Da tanto si ha: che i tre Avvisi Fiscali si pongono in lineare connessione soggettiva ed oggettiva; che l’economia delle funzioni di Giustizia (e non solo di essa) attrae nella possibilità di riunione (volontaria) dei ricorsi (S.C. Cassazione a Sezioni Unite 19.01.1970, n.105, in Imp. Dir. Erar., 1970, 815 e molte altre, in consonanza e conformità con la letteratura e la Giurisprudenza Amministrativa).

v  L’indagine della G.d.F. è iniziata il 5xxx03 e si è conclusa il 7.xxxx200x, mettendo in evidenza la modestia del risultato erariale, stimato insignificante ove si consideri la smisurata importanza attribuita dalla G.d.F. al caso. L’esito, ancorché viziato, non riflette la REALTA’ E VERITA’ DEI FATTI. Eppure si rappresentava già all’avvio dell’indagine che la ricorrente, per il fisco, era poco più del “nulla”. Inoltre e principalmente l’attività di verifica, accertamento ed indagine non ha fornito, né poteva essere diversamente, alcun dato certo, serio e di verità, riferiti alla reale situazione della contribuente la cui vera configurazione personale nell’ambito sociale ed economico è di piccolissimo soggetto che ha iniziato a collaborare con alcuni operatori esteri del settore abbigliamento.
La lettura e l’esame del P.V.C. confermano l’irrilevanza, sotto il profilo della consistenza patrimoniale riferita agli affari che la riguardono
seriamente, del soggetto verificato.

L’attività di verifica si è svolta senza il preventivo inquadramento storico del soggetto e ne è conseguita un’attività della G.d.F. del tutto fuorviante, aggressiva, spropositata, immeritata, non osservante delle norme tributarie e procedurali, quindi infondata ed illegittima.

La G.d.F. ha scelto di accreditare fonti esterne.

MOTIVI DEL RICORSO

IN FATTO
La Guardia di Finanza inizia il .xxx5.200x la verifica fiscale nei confronti della ricorrente ma commette da subito un grave errore, cioè qualifica la signora xxxxxxxta quale “ intermediario del commercio di abbigliamento e commercio di abbigliamento”. La ricorrente fa notare che Lei non ha mai commercializzato, né ha intermediato nel senso giuridico del termine. A fine indagine, infatti, non è risultato nè una fattura di acquisto merce né una sola fattura emessa a clienti. Le dichiarazioni unanimemente rese da soggetti economici interpellati dalla G.d.F. sono del seguente tenore:

… conosco la signora Loliva che accompagna gli operatori stranieri,

… funge da interprete,

… non ho mai corrisposto alla stessa alcuna provvigione o emolumento. Tuttavia la verifica incardinata su input falsi continua a svolgersi nella convinzione di aver scovato un’importante evasore, di dimensioni ragguardevoli, ma così non è. I verificatori nel tentativo di fare emergere, a tutti i costi,  “l’impresa” che non esiste, finiscono con il violare l’art. 4 del D.P.R. 26.10.1972, n. 633 per falsa applicazione.

La poca ed irrilevante documentazione in copia rinvenuta ( pag. 4 del P.V.C.) all’atto dell’accesso doveva servire, cioè bastare, a valutare saggiamente il caso ai fini dell’indagine e, qualora la G.d.F. avesse deciso di continuare, misurare lo sforzo indagativo, fino ad adottare la più ponderata decisione di definire in via breve la questione. La contribuente non aveva documenti contabili, registri e quant’altro perché non ne aveva bisogno, né ricorrevano i presupposti di legge. Il corpo ispettivo ha rinvenuto una agenda, qualche copia di fattura al cliente estero, qualche copia commissione, insomma  il minimo di carte necessario per seguire, con un minimo di cognizione e dovere, l’andamento degli affari e spedizioni affinché il contratto commerciale tra l’operatore italiano, produttore, ed il cliente straniero avvenisse nel migliore dei modi.

QUESTO E’ QUANTO SVOLTO DALLA RICORRENTE DEDICANDO UNA MANCIATA DI MINUTI AL GIORNO PER POCHI GIORNI DELL’ANNO, NE’ PIU’ NE’ MENO.
L’irrituale quantità di energia destinata all’attività d’ indagine si manifesta nella definizione che la G. d. F. fa dell’attività svolta dalla contribuente: “  pag. 7 del P.V.C.- L’attività della Signora xxxxtta pertanto, consisteva nello svolgere la funzione di longa manus   in Italia, del cliente straniero…” Ma allora longa manus o impresa ?. E’ necessario che i verificatori e l’Agenzia delle Entrate di Gioia del Colle, inquadrino correttamente la natura e gli effetti giuridici di questa insinuazione.
Si legge a pag. 11 del P.V.C. la sostanziale contraddizione con tutto l’assetto verificatorio ed accertativo così presentati dalla G.d.F e l’agenzia delle entrate,  “ pertanto, questo Comando ha richiesto al Comando Compagnia di San Giuseppe Vesuviano (NA), di effettuare un controllo incrociato nei confronti dei soggetti beneficiari dei suddetti assegni. Dal controllo effettuato è emerso che non esiste nessun rapporto commerciale tra i soggetti di nazionalità cinese e le aziende estere, clienti della ditta verificata, né tantomeno con la stessa xxxxxxxxxxxxxa” . L’allegato 16 che riguarda un assegno di lire 9.886.000, emesso in pagamento a fornitori della zona è stato incassato a Napoli da Cinesi!, i quali interpellati dalla G.d.F. del posto hanno dichiarato di non conoscere la signora xxxxxxxta.      

Danno atto i verificatori, pag. 12 del P.V.C., che” in sede di accesso i militari operanti non hanno rinvenuto giacenze di magazzino”. Si rammenta
che l’accesso è avvenuto nei locali dell’agenzia di assicurazione xxxxx, condotta dal coniuge xxxxxxxed altri, dove pensavano di rinvenire un magazzino con capi di abbigliamento ed una copiosa documentazione contabile per gli affari intrattenuti. Nulla di tutto questo perché laxxxxxiva, all’epoca dei fatti é una dipendente dell’Azienda xxx e solo part time, visto che conosce l’inglese, ama vestire gli abiti di collaboratrice occasionale per alcuni operatori stranieri; si dedica saltuariamente conoscendo la lingua e gli usi dell’area araba ed assiste due operatori stranieri per il disbrigo di pratiche commerciali. Intanto,  si rende utile nel circuito delle imprese locali, all’interno delle quali raramente c’è personale capace di parlare l’inglese.
Riceve in compenso un emolumento forfetario, quale rimborso spese, del quale da prova alla G.d.F. ma che, tuttavia, non è assunta agli atti.
E’ fatto certo e dichiarato dagli operatori commerciali italiani di non aver mai corrisposto alla signora xxxxxa né compensi provvigionali, né emolumenti diversi , né somme in pagamento per altri titoli.
Nel P.V.C. frequentemente si legge “in mancanza di elementi certi…” L’attività della G.d.F. è rivolta  alla ricerca della verità dei fatti, degli
elementi, delle prove e circostanze da segnalare agli Uffici preposti spontaneamente all’attività di accertamento; l’attività condotta dalla Finanza
con metodologia presuntiva è illegittima, essa va respinta e non ammissibile nel procedimento amministrativo in cui l’attore deve essere
soggetto qualificato e la materia del contendere deve essere certa. Infondata evidenziazione della capacità contributiva del contribuente e quindi violazione dell’art. 53 della Costituzione.
Le evidenziazioni  che precedono vogliono mettere in evidenza la non conformità dell’azione verificatrice rispetto alle regole che il COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA ha emanato con la Circolare n. 1/1998 del 20 ottobre, di cui si ritiene dover riportare alcuni passaggi fondamentali ed inderogabili:

  • La verifica è una indagine di polizia amministrativa finalizzata a:

-prevenire, ricercare e reprimere le violazioni alle norme tributarie e finanziarie;

qualificare e quantificare la capacità contributiva del soggetto che ad essa viene sottoposto;

-L’attività di verifica, come è noto, non è fine a se stessa: essa, infatti, è destinata a produrre esiti che intanto assumono valore in quanto sono destinati ad essere recepiti a fondamento dell’ulteriore attività di accertamento demandata agli Uffici finanziari che ne cristallizzeranno definitivamente le risultanze in un atto a rilevanza esterna, deputato a produrre effetti giuridici nella sfera di colui che ne è per legge il destinatario. 2.2  PROGRAMMAZIONE- Il principale strumento di questa conoscenza è costituito dall’attività di polizia tributaria investigativa,
atteggiamento operativo che distingue l’azione della Guardia di Finanza rispetto alle procedure degli altri organismi deputati alla tutela degli interessi erariali.

4.3 I TEMPI DI DURATA DELLA VERIFICA- Il Fattore tempo costituisce elemento rilevante nell’esecuzione della verifica e,  più in generale, nella realizzazione della programmazione annuale Il direttore della verifica ed il capo pattuglia, nella scelta degli strumenti investigativi, devono quindi considerare attentamente anche tale elemento sia per le evidenti incidenze sulla operatività del Reparto e la puntuale attuazione del principio dell’economicità dell’azione amministrativa in base al rapporto costi-benefici dell’attività ispettiva, sia per gli effetti che determina sull’attività economica del contribuente controllato.

OBBLIGO DI MOTIVAZIONE DEGLI ATTI ISPETTIVI-

…nella fase istruttoria vengono esperite le indagini del caso per ricercare e verificare i fatti fiscalmente rilevanti ed al termine delle stesse, nell’ambito della fase conclusiva, si perviene, di regola, all’emanazione del provvedimento impositivo, salvo che non ne ricorrano i presupposti. In tale contesto si colloca l’azione della Guardia di Fiananza quale organo ausiliare dell’attività di accertamento, attraverso l’esecuzione di una serie di atti endoprocedimentoali aventi parimenti natura amministrativa.
La verifica attuata nei confronti della ricorrente, quanto a tempi, modi, tempi, metodologie impiegate e  risultati, non si giustifica e soprattutto non trova fondamento alcuno nella realtà del soggetto verificato, poiché, come già riferito, la signora xxxxxxx non ha mai posto in essere attività di intermediazione e/o vendita di capi di abbigliamento; ha solo assistito due operatori esteri.

CON RIFERIMENTO AGLI AVVISI DI ACCERTAMENTO 
ANNO D’IMPOSTA 2001- imposta IVA-

  • L’Ufficio dice che il contribuente ha omesso di fatturare operazioni attive per euro 39xxx0,00. E’ assolutamente scorretto perché l’importo di cui innanzi, tratto dal P.V.C. pag.17, è la sommatoria di tre elementi eterogenei:

-ricavi per provvigione ( 2xxx,00, colonna C, calcolati sui bonifici esteri disposti per il pagamento ai fornitori delle merci );

-altri versamenti non giustificati (1xxxxx,00, colonna D);

– vendite senza fattura con ricarico del 10% (24xx,00, colonna F).

Per l’Ufficio le tre voci rappresentano operazioni attive!. E’ totalmente inesatto, falso ed arbitrario.

Nell’intero P.V.C. non è mai stata indicata la circostanza e/o meglio la prova che la ricorrente abbia mai acquistato merce per la
successiva rivendita. L’Ufficio, allora, non può sottrarsi dall’indicare quale disposizione normativa consente di dedurre le citate operazioni attive. Bene, se detta procedura non è collocata nell’ordinamento tributario, e per la verità neppure in altri ordinamenti, deve l’Ufficio con assoluta precisione e seriamente  motivare quali sono i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche su cui fonda le presunzioni degli accertamenti. Di fatto, si continuerà a dimostrare che la procedura è affetta da  totale illegittimità per aver costruito materia imponibile su elementi non veri, errati ed inesistenti. E’ quanto meno singolare l’affermazione dell’Ufficio che si contesta e confuta in toto per infondatezza ed erroneità.

La duplice presunzione fatta dall’ Ufficio non è precisa, né grave, né concordante; essa è improponibile. Al contrario la parte dimostra e prova che i versamenti che secondo l’Ufficio non sono giustificati ( xxx12,00) , lo sono invece ed infatti 12xxx2,00 è la somma dei versamenti eseguiti presso
l’Unicredit Banca, come da estratto conto qui allegato:

valuta vers.to                  importo in lire                             importo in euro

24.8.2001                   2.xxx.000                               1.0xxx92

29.8.2001                   3xxxxx0.000                               1.xxxx60

09.10.2001                 5.2xxx500                               2xxxxx,11

25.10.2001                 1.xxxx000                                 8xxx,28

15.11.2001                 ————
già in nuova valuta 1.xxx8,74

09.11.2001                 ————-   “
“                3.xxx4

21.11.2001                 ————-    “
“                  8xxx,98

07.12.2001                 ————-   “
“           1.xxxxx,50

euro    12xxxxx,87

pari all’importo della colonna D, pag. 17 del P.V.C., indicato come altri versamenti non giustificati, mentre sono inconfutabilmente documentati, trattandosi di somme personali detenute a diverso titolo, la cui disamina mette in luce che, ad esempio, il versamento di euro 1.0xxxxx91, in
prospetto pvc allegato n. 2, risultante non giustificato, è invece giustificato perché si riferisce al versamento fatto il 24.8.2001, come da estratto conto dell’unicredit banca £.2.xxx.00=euro 1.0xxxx91, da cui si evince il versamento rappresentanti le due mensilità di affitto di luglio ed agosto  riscosse, come da n. 2 fotocopie fitto di ricevute allegate (all.3). Ove necessario la ricorrente è pronta a produrre ulteriore documentazione.
ANNO D’IMPOSTA 2002-imposta IVA-xxxnche per quest’anno valgono le stesse annotazioni, considerazioni e contestazioni fatte per l’anno 2001, pertanto si passa a dimostrare che:

  • Pag. 17 del PVC, anno 2002, colonna D, euro xxx7,37 quali versamenti non giustificati, si dimostra che euro 4.3xxxx0 e euro 4.xxx,84 prelevati dal conto xxx, rispettivamente il 20 ed il 24 dicembre 2002, costituiscono versamenti sul conto n. xxxx versati rispettivamente il 20 ed 24 dicembre 2002 e quindi trattasi di giroconto. Con ciò si prova che non trattasi di versamento non dimostrato, come  erroneamente indicato sia dall’Agenzia delle entrate che dalla Guardia di Finanza.
  • Colonne E euro xxxxx95,00 e F euro xxxxx4,00, del citato prospetto, non sono vendite senza fattura come sostiene la G.d.F., ma pagamenti ai fornitori. Si noti che l’assegno di euro xx2,00, progressivo 3 del prospetto riportato a pag.11 del PVC, è stato dato in pagamento della fattura n.574 della TRICONF S.r.l. il cui importo è appunto 7.xxxxxx00 (all. n.5).

Le fatture delle ditte Vxxxle ed Fxxxz , allegate, dimostrano che gli assegni corrisposti sono a fronte di fatture emesse.

Del residuo importo di euro 37.xxxxxxx,00 si allegano le copie delle fatture di acquisto (all.6). Ove necessario la parte è pronta a produrre
ulteriore documentazione.
ANNO D’IMPOSTA 2003-imposta
IVA-Imposte dirette-
         Anche per quest’anno valgono gli stessi rilievi, annotazioni e motivi rappresentati per gli anni precedenti.
L’accertamento per l’anno 2003 è, come per gli anni 2001 e 2002, è
infondato ed illegittimo sia ai fini I.V.A. che ai fini delle Imposte dirette.

Infatti, nella colonna E del prospetto riportato alla pag. 17 del P.V.C., ripreso integralmente dall’ Agenzia delle Entrate nel suo accertamento, è detto che sono stati riscontrati “ euro 6xxxx,00 per altre uscite per acquisti senza fattura”. La ricorrente a confutazione dell’assunto dai verificatori, allega copia dell’assegno tratto sul Crxxxxto Ixxxxiano di euro 6xxxxx0,40 intestato alla ditta xxxx S.r.l. che fu dato in pagamento di diverse fatture, vedasi fotocopia dell’estratto e fotocopia delle fatture.
Queste prove offerte al vaglio di Codesta Commissione, confermano quanta approssimazione ed imprecisione (incertezza), quasi colposa-dolosa, è presente nell’attività investigativa della Guardia di Finanza e nell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, e quanta  verità, invece, è portatrice la ricorrente che, si ribadisce, si è trovata accerchiata da inverosimili situazioni e fatti inesistenti.

Inoltre, per l’esercizio 2003, anno di inizio dell’attività in modo professionale (all.12), la scrivente ha posto in essere le scritture contabili le quali
racchiudono con assoluta precisione i movimenti degli acquisti e delle fatture emesse, dati poi trasfusi nella dichiarazione dei redditi, quadro RG, qui in fotocopia (all. 8), i cui dati sono in sintesi:

Ricavi dell’attività                                                        euro  14xxx00

Componenti negativi                                                       “      xxxx38,00

xx
Reddito d’impresa    “       10xxxxx777,00

Ove necessario la parte è pronta a produrre ulteriore documentazione. P.V.C. ed Accertamenti vanno disattesi in toto.

IN DIRITTO

1- INABILITA’ ED IMPRODUTTIVITA’ DI EFFETTI GIURIDICI DEI TRE AVVISI DI ACCERTAMENTO-

L’imposta sul valore aggiunto agisce sui consumi, attraverso la tassazione delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o di arti o professioni. La Guardia di Finanza nelle sue indagini non riferisce di aver rinvenuto acquisti di beni destinati alla successiva rivendita.
L’occasionale azione attivata dalla ricorrente, non può identificarsi con le prestazioni di servizi così come definite dal D.P.R. 633/72, né in concreto lo è, dal momento che l’esatta configurazione è aver prestato collaborazione a soggetto estero, consistente nella generica assistenza, compreso pagamenti ai fornitori ed interpretariato per pochi giorni dell’anno. Per detta collaborazione è stato pattuito un compenso forfetario di euro 3xxxx00, per un soggetto e di euro 1.xxxxx,00 per l’altro, vedasi conferimento incarico delle parti sottoscritto dalle parti in epoca anteriore alla verifica della Guardia di Finanza, quindi in tempi non sospetti (all. 9 e 10). Si ritiene utile chiarire che le operazioni commerciali con l’estero, ed in particolare con il medio oriente, sono regolate mediante pagamenti con lettera di credito irrevocabile oppure, come nel caso in esame, in divisa italiana a ricevimento del bonifico dall’estero.

Perché si abbia un’operazione rilevante ai fini IVA, deve in primo luogo realizzarsi una cessione di beni o una prestazione di servizi, ovvero un acquisto intracomunitario  o un’importazione e l’operazione deve  inquadrarsi nell’esercizio di imprese o di arti o professioni.

Il soggetto ricorrente era impiegata e non poteva assumere nessuno dei ruoli specificati. L’operazione va considerata fuori campo o esclusa dall’IVA. L’art. 4 della VI direttiva comunitaria definisce soggetto passivo d’imposta chiunque esercita in modo indipendente un’attività economica per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità.         La prestazione è privatistica e di natura occasionale, cioè al di fuori di un’attività economica. Tutto è confermato dalla circostanza che i verbalizzanti all’accesso non hanno rinvenuto né merci, né libri contabili, né fatture, né appunti di vendite, né altre diavolerie quindi mancano gli strumenti di base per l’espletamento di qualsiasi attività, anche minima.

L’agenzia delle Entrate non ha effettuato alcun accertamento presso la ricorrente, ma ha emesso i tre accertamenti sulla base del P.V.C. della Guardia di Finanza. La G.d.F. ha posto in essere solo  presunzioni, da ciò la conseguenza che gli accertamenti dell’Ufficio, basati esclusivamente sul P.V.C.,  sono accertamenti presuntivi e non accertamenti.      

L’Agenzia delle Entrate non ha posto in essere alcuna attività di accertamento, ma si è limitata a far proprio le rilevazioni della G.d.F.

 2 – VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 53 DELLA COSTITUZIONE-

L’indagine della G.d.F. non ha fornito agli Uffici competenti dati e prove della sottrazione di materia imponibile, ma solo presunzioni; ne deriva che i tre atti di  accertamento emanati dall’Agenzia delle Entrate non hanno svolto alcuna funzione accertatrice, cioè non hanno fornito l’elemento principe dell’accertamento cioè la certezza delle rilevazioni. L’infondato impianto degli imponibili da luogo alla richiesta, altrettanto infondata, di somme, tra imponibile, sanzioni ed interessi, che opprimono di gran lunga la reale capacità contributiva del contribuente, violando quindi il dettato dell’art. 53 della Costituzione. Il reddito effettivo della ricorrente, ai fini delle imposte dirette,  è stato correttamente appresentato nelle dichiarazioni dei redditi degli anni 2001-2-3 e tra l’altro producendo condono ai sensi della L. 289/2002. L’aspetto delle imposte dirette, nella fattispecie, non si pone affatto,  semmai l’unico aspetto che la Finanza avrebbe dovuto definire è se le somme percepite da Baby’s xxxxce e Axxxxxira, pari ad euro 4xxxx00 ( vedasi allegati n.9 e 10 ) fossero da assoggettare ad IVA oppure no. Ma la parte era  già pervenuta alla conclusione che la somma non era soggetta ad I.V.A. per due ragioni:

  • Per un aspetto, l’attività svolta non abitualmente, ma molto occasionalmente e solo per pochi giorni l’anno, in presenza di rapporto di lavoro dipenendete, non faceva nascere alcun obbligo di natura contabile trattandosi di prestazione fuori dal campo I.V.A..
  • Per altro aspetto, volendo considerare applicabile la discpiplina IVA, avrebbe dovuto optare o per l’art. 7, 4C lett. d) D.P.R. 633/72, per cui l’attività di consulenza ed assistenza tecnica sono fuori dal campo IVA, oppure per l’art. 9, p.7, e l’attività di intermediazione è non imponibile: Per entrambi le soluzioni non avrebbe dovuto corrispondere alcuna IVA.   In sintesi, l’Iva era non dovuta e le imposte Irpef sono state assolte, di conseguenza la ricorrente non deve nulla all’Erario. Si è testè scritto che l’interesse fiscale non può essere la comodità del fisco, né l’arbitrio, né la irragionevolezza. Ogni azione sull’applicazione delle imposte, sul modo dell’imposizione, non può alterare il quantum dell’imposta, che deve essere necessariamente collegata alla sua base economica. La capacità contributiva deve essere qualcosa di obiettivo, legato alla struttura dell’imposta, nel senso che la base imponibile deve essere incorporata nella fattispecie legale, come valutazione dell’elemento di ricchezza. Il principio di capacità contributiva esige prima di tutto che vi sia un collegamento effettivo tra la prestazione imposta ed il presupposto economico considerato. Ed il presupposto costituisce il fondamento ed il limite dell’imposizione.

Esso è alterato quando l’attività impositiva si traduce in sanzioni improprie e sfugge alla razionalità, non è fondata nella coerenza logica, assume come fatti tassabili elementi che diversamente non lo sarebbero. Non è legittimo spezzare il collegamento tra l’imposta teoricamente dovuta secondo norma ed il presupposto effettivo dato dalla base imponibile. Anche quando il contribuente viene accertato con il metodo induttivo, il
ricorso a tale metodo non può precludere l’applicazione delle regole relative alla struttura ordinaria dell’imposta. Anche quando vi è violazione di obblighi tributari, una volta “accertata” l’imposta secondo la procedura prevista (senza aggravio della situazione procedimentale come stabilita dalla legge), essa non può essere aggravata “a titolo e come sanzione“, pena la violazione del principio di capacità contributiva. L’interesse
fiscale, perciò, non può portare alla vanificazione del “principio di capacità contributiva”. L’uno deve coesistere con l’altro.

La giurisprudenza Costituzionale, come ricorda la stessa Corte nella sentenza n.200 del 1976, ha costantemente riconosciuto la necessità che le presunzioni,per poter essere compatibili con il principio di capacità contributiva, devono essere confortate da elementi concretamente
positivi, che la giustificano razionalmente
. Il principio suddetto – dice la Corte – nella misura in cui l’art.53, risponde alle esigenze di garantire che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice  in indici concretamente rilevatori di ricchezza, dai quali sia razionalmente deducibile l’idoneità soggettiva al pagamento dell’obbligazione tributaria. Orbene, gli indici “concretamente rilevatori di capacità contributiva” attengono alla definizione del presupposto (mentre le presunzioni attengono alla prova di esso). E’ esclusivamente il collegamento tra presupposto economico e imposta dovuta che condiziona l’attitudine alla contribuzione, l’idoneità a pagare una somma a titolo d’imposta. Tale collegamento esige prima di tutto che la somma sia partita dalla ricchezza considerata e che vi sia proporzionalità inoltre fra l’una e l’altra: il collegamento non deve essere distorto per effetto di una dilatazione del carico tributario, con alterazione in eccesso del risultato quantitativo. (cioè presupposto come fondamento e limite dell’imposizione nell’attività di valutazione congruità e congruenza reale, non supposta).

L’aspetto del rispetto del principio di effettività si pone sotto il profilo dei metodi di calcolo per la definizione della base imponibile, che non può essere mai fittizia.  Un ulteriore profilo del principio di cui all’art.53 della Costituzione, inerisce il carattere attuale della capacità contributiva. Il principio in esame infatti deve essere riferito ad una idoneità effettiva alla contribuzione, che, per essere tale deve essere valutata in relazione ad un determinato momento.

3-VIOLAZIONE ALL’OBBLIGO DI MOTIVAZIONE DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI: ART.42 DEL D.P.R. 29.09.1973, N.600; ART.7 DELLA LEGGE 27.07.2000, N.212; ART.3 DELLA LEGGE 07.08.1990, N.241.

Gli accertamenti impugnati  non sono motivati. Alle presunzioni della G.d.F., semplici o legali ed all’inattività accertatrice – ma anzi di adesione al P.V.C. dell’Agenzia delle Entrate -, sono state contrapposte con il presente atto ed allegate le inconfutabili  prove a dimostrazione della nfondatezza delle presunzioni. Ne consegue la nullità degli accertamenti.    In ordine all’elemento-requisito “motivazione” degli atti amministrativi e fiscali,  la disponibilità dei materiali dispositivi, normativi, illustrativi, di dottrina, di studio, di giurisprudenza di ogni specie e livello, ecc. ecc. è così ampia e ricca che è per davvero problematico e poco agevole nel suo ambito operare la scelta, in modo da poter dare (a misura ed appropriatamente) difensivamente conto a codesta On.le Commissione ed allo stesso Ufficio, del perché il sottoscritto è convinto che i tre accertamenti , in pratica, sono privi del requisito della motivazione, intendendo per privi che l’apparenza, l’insufficienza, la non congruità e l’inidoneità di essa vale per mancanza: (così dice in proposito e conclude il Prof. E. Demita: “Non esiste l’atto insufficientemente motivato; o è motivato o non lo è” (pag.319 del Testo I Principi di Diritto Tributario – Milano – Giuffre Editore 1999).

Con riserva perciò di ampliare, se necessario e controversia durante, gli argomenti di diritto e di ragione che confortano questo punto di ricorso, il sottoscritto, per ora, si limita a porne in evidenza alcuni, cioè i seguenti, individuati con il criterio della più stretta attinenza ed autorevolezza
vincolativa delle fonti, ben si intende significativamente vincolativa per l’Ufficio nel suo compito di articolazione territoriale dello Stato Italiano e
della Amministrazione Finanziaria dello stesso.

Dalla sentenza n.2990, del 23.5.1979, della Suprema Corte di Cassazione, Civile Sez.1° ( in giur.I.T., 1979, I, 1, pag.1774):

“La Pubblica Amm/ne non può dar vita ad alcun provvedimento che incida nella sfera patrimoniale del “cittadino”, senza aver prima, nell’ambito dello stesso procedimento che conduce all’emanazione dell’atto amministrativo “offerto a se stessa la prova dei presupposti di fatto che possono condurre all’emanazione del provvedimento”.

Dalla Circolare del Segretariato Generale del Ministero delle Finanze, n.49/S/186/95/UDC, del 13.2.1995 (della quale si allegano le pag.1807/1910,
come tratte dalla pubblicazione “Il Fisco” n.8/95):

Punto 3.4. L’obbligo di motivazione – Indicazione in ogni atto notificato dell’autorità a cui è possibile ricorrere. La terza ed ultima
disposizione riguardante i principi generali dell’attività amministrativa (art.3 della L. n.241 del 1990) stabilisce l’obbligo della motivazione per
“ogni provvedimento amministrativo”, con esclusione degli atti generali o a contenuto generale; la stessa norma fissa il contenuto minimo della
motivazione.

Si deve sottolineare che la puntuale osservanza di tale obbligo impone di dar conto in modo adeguato di tutte le tappe essenziali dell’iter procedimentale, con particolare riferimento alle memorie ed ai documenti presentati dai soggetti che hanno partecipato al procedimento.”

Dall’art.7 della Legge n.212/2000 e dall’art.3 della Legge n.241/1990:

“Gli atti dell’Ammi/ne Finanziaria, sono motivati secondo quanto prescritto dall’art.3  della Legge 7.8.1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto  e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

L’Ufficio è parte dell’Amm/ne  Finanziaria, che è organo dello Stato, il quale ha pure ordinativamente stabilito che le sue articolazioni territoriali (nessuna esclusa) applichino esattamente le leggi, in modo conforme alla loro corretta interpretazione. E’ così questo uno dei modi di perseguire la giustizia tributaria. Tutt’intorno all’elemento motivazione il mondo del diritto, inteso nell’accezione più ampia considerabile, si è cimentato moltissimo, atteso il ruolo ad esso assegnato dall’ordinamento e la grande importanza del medesimo in termini di senso, utilità, doverosità, razionalità, efficienza ed indispensabilità che esso stesso ha, come fattore di regolamentazione e di guida della vita giuridica dei cittadini, costituitisi in consorzio civile ed in Stato di Diritto e Costituzionalizzato.

Per i fini che il presente atto di ricorso persegue, qui se ne riportano alcuni spunti, tutti di estrazione dai testi, ora di studio, ora di partecipazione
pubblicistica:

  • il nostro Paese sta attualmente procedendo sulla strada di altri Paesi (USA, la Germania, i Paesi  Scandinavi, ecc.) di più solido
    impianto di “Democrazia Amministrativa“;
  •    la gestione del potere è così aperta a tutte le componenti “attive” della società, passando da una fase definita di “sacralizzazione” degli atti amministrativi, ad una fase contrassegnata da nuovi diritti fondamentali del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione, radicati ormai nella coscienza civile della collettività, quali il diritto  di partecipazione all’attività amministrativa, il diritto all’efficienza della
    Pubblica Amministrazione, il diritto alla comprensibilità e semplicità degli atti amministrativi e delle attività amministrative, eccetera, fino a giungere verso una sorta di “coamministrazione” in cui sono privilegiate le esigenze comunitarie e partecipative, nell’ottica di fondare, per quanto possibile, rapporti paritari fra Pubblica Amministrazione e cittadini non più da considerare come amministrati (cioè come supini soggetti passivi), in ossequio al principio della sovranità popolare (ex art.1, comma 2, della Costituzione) che riguarda la titolarità di tutte le funzioni pubbliche.
  • si è esattamente osservato che il principio della sovranità popolare tende non tanto a ripristinare il tipo di democrazia formale, fondata sulla concezione meramente rappresentativa del potere, sebbene a garantire un sistema sostanzialmente democratico, il cui intento è la piena realizzazione del singolo nel duplice aspetto di privato e di cittadino. Si può quindi correttamente sostenere, oggi, che l’ordinamento va riguardato come un vero e proprio “bene“, la cui determinazione è rimessa al popolo per la soddisfazione dei propri interessi (T.E. Frossini, in Sovranità Popolare e Costituzionale – Milano, 1997);

Tra l’abbondantissima disponibilità della manualistica di settore (nel cui ambito la scelta e la preferenza non sono certamente facili, proprio a ragione della vastità e della grande qualità delle trattazioni) è presente il “Manuale Professionale di Diritto Tributario” – IPSOA -, del Prof. Raffaello Lupi. Da tale manuale si riportano i seguenti periodi, tralasciando, a malincuore, tutta l’esposizione che l’eminente e chiarissimo studioso-cattedrattico ha dedicato all’importante e sostanziale argomento, di tutta conferenza con la tesi difensiva qui avviata dal sottoscritto difensore:

–  la motivazione non consiste quindi nella mera indicazione dell’imponibile e dell’imposta, ma essa deve piuttosto definire la materia del contendere e far capire al contribuente le ragioni della pretesa, consentendogli di prefigurarsi le prospettive di un possibile ricorso;

–  quando, come avviene spesso, la motivazione si basa su presunzioni occorrerà descrivere i relativi fatti indizianti ed i passaggi logici attraverso i quali si è giunti all’ipotesi da dimostrare;

–   i suddetti principi (esposizione dei dati di fatto, dell’iter logico-giuridico e l’indicazione della sequenza dei passaggi logici su cui si fonda la rettifica) valgono anche per le questioni di diritto, in quanto la motivazione deve riportare, in modo sufficientemente preciso, il ragionamento giuridico su cui  fonda l’accertamento stesso. Quindi l’importanza, l’indispensabilità e la rilevanza dell’elemento “motivazione” negli atti di accertamento fiscale è assoluta. Deve trattarsi altresì di motivazione seria ed esaustiva e non di una serie di presunzioniProvvisoriamente, pertanto, si limita la tesi difensiva attinente alla motivazione, confutando del tutto la tesi dell’Ufficio di aver munito i suoi avvisi dell’elemento motivazione, che, così com’è composta, si qualifica e si delegittima da sola, senza scomodare tanto diritto e tanta dottrina.

Non senza però sussidiare la qui in disamina vicenda, di alcuni argomenti, ad essa specifica e di diretta inerenza difensiva.

Essa così com’è concettuata e formata:

  • è apparente, insufficiente, inadeguata, sedicente;
  • è senza costrutto estimativo, di ragionevolezza, di sensatezza giuridica;
  • è priva di senso reale.

4- VIOLAZIONE DEI PRINCIPI E DELLE NORME SUL GIUSTO PROCEDIMENTO, ESSENDO L’ACCERTAMENTO TRIBUTARIO UN PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO NON LIBERO, MA REGOLATO E CANONIZZATO IN FUNZIONE DELLA CORRETTEZZA AMMINISTRATIVA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEGALITA’, CUI DEVE ESSERE INFORMATA L’ATTIVITA’ AMM/VA DELLE ARTICOLAZIONI TERRITORIALI DELLO STATO. ARTT.23,28 E 97 DELLA CORTE COSTITUZIONALE. VIOLAZIONE DEI PRINCIPI E DELLE NORME SUL “RAPPORTO GIURIDICO D’IMPOSTA”. 

Neppure le norme, i concetti, i principi e gli Istituti di Diritto determinativo, regolamentativi e qualificativi del:

–         Giusto procedimento Amministrativo-tributario;

–         Principio di legalità;

–         Rapporto giuridico d’imposta,

sono acqua fresca, inutile peso e bagaglio di cui la P.A.F., nelle sue espressioni territoriali periferiche, possono e sono legittimate, a piacimento, di fare a meno. Sono invece fonti e canoni (ora statuiti e scritti, ora come patrimonio della nostra cultura ed ora della nostra tradizione e del nostro sentire umano, civile e sociale) che pervadono l’organizzazione, l’azione amministrativa e quant’altro presidia la vita di ciascun consociato e degli
Ordinamenti-Istituzioni pubblici che si giunge a determinare. E’ giusto il procedimento amministrativo se è sostanziato da vera ragione e da
buona ragionevolezza, correttezza d’azione, sensatezza ed equilibrio di giudizio, ortodossia legale, natura ed indole di piena equità ed efficacia
della specie e quantità che solo da tutto questo consegue. Il principio di legalità, ben si sa, così si situa, si significa ed opera nelle società civili:

¨      l’attività amm/va deve rispettare costantemente il principio di legalità, inteso in senso sostanziale e funzionale ed in tal modo perseguire i propri fini, nell’ambito e secondo i principi dell’Ordinamento Giuridico e Istituzionale;

¨      Esso è ancorato al principio di tutela dei beni giuridici, di rilevanza costituzionale;

¨      Deve esistere ed assistere in ogni momento dell’agire amministrativo e si deve risolvere nell’obiettività ed imparzialità dell’azione, quindi ancora ad essa la riscontrabilità del giudizio espresso;

¨      La P.A., nello svolgimento della sua attività, deve rispettare quei limiti e quei vincoli che derivano direttamente dai principi costituzionali desumibili  dall’art.97. Inoltre le modalità di azione della P.A. devono trovare forme ed istituti, rinvenibili nell’Ordinamento e che dell’Ordinamento stesso, nel suo complesso, traggono legittimazione;

¨      Il principio di legalità consiste ed esige il rispetto del principio di efficienza, imparzialità, buon andamento e trasparenza della P.A.;

¨      Esso è molto altro, fino a porsi come fattore primario dell’etica, del senso e dell’azione di giustizia e persino dell’ordine pubblico.

Il rapporto giuridico d’imposta è dato dal coacervo delle norme che:

  • regolano e determinano i casi in cui l’imposta è dovuta;
  • indicano le persone obbligate al pagamento di essa;
  • stabiliscono i modi e le forme in cui l’imposta stessa deve essere accertata e riscossa;
  • prescrivono dover essere la potestà tributaria non esorbitante dal potere di disposizione dello Stato;
  • prestabiliscono lo speciale procedimento amministrativo, che deve svolgersi secondo le forme prescritte, la cui osservanza costituisce l’oggetto di un diritto soggettivo nei confronti dell’autorità finanziaria. Trattasi perciò di un rapporto giuridico costituito da relazioni con la P.A.F., previsto e tutelato dal diritto oggettivo, che riconosce alle parti attrici poteri, diritti e doverosità di condotta. L’Ufficio nei suoi avvisi asserisce e scrive che ha accertato, cioè che ha svolto un procedimento amm/vo-accertativo, dal quale ha tratto la motivazione, i valori
    dei beni ceduti e delle prestazioni eseguite, l’imponibile e le relative imposte (ed interessi) supplementarmente dovute
    . Gli stessi atti, a ben vedere, spiegano e dimostrano che l’Ufficio non ha svolto affatto un decente procedimento amm/vo di accertamento, organico, gionevolvente satisfativo e giuridicamente normale.

Sono tante le definizioni che si danno al procedimento accertativo tributario.

Si vuole che i contenuti di esso siano:

–  constatazione obiettiva dei fatti e situazioni;

–  contenuto di manifestazioni di conoscenza;

–  valutazione dei presupposti;

–  fase costitutiva (che è la fase centrale);

–  riscontro ed acquisizione dei presupposti oggettivi (istruttoria), che consistono in fatti giuridici o in condizioni di fatto materiali;

–  insieme di sequenze di atti ed operazioni rivolti alla constatazione storica del presupposto impositivo (valutazione dell’AN e determinazione del quantum).

Da tutto ciò nasce la fallacità del procedimento accertativo tributario di cui l’Ufficio fa attestazione nei suoi avvisi, che non riescono quindi a raggiungere i requisiti e la dignità dell’istituto “procedimento accertativo tributario” così come l’Ordinamento, la Costituzione li esigono, nei
suoi elementi generali e particolari. Autorevoli autori hanno sostenuto di aver chiarito che la “motivazione” va valutata con riferimento all’idoneità dei motivi adottati in concreto nell’atto, in vista della funzione perseguita per il loro tramite, onde apprezzare le ragioni in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto fiscale medesimo e stabilire se la motivazione c’è o non c’è, ha puntualizzato che:

¨      l’art.42 del D.P.R. 29.9.1973, n.600 è norma portatrice di un principio di portata generale, talché ad identica conclusione deve pervenirsi tutte le volte che l’atto in questione comunque non si conformi al paradigma legislativo che lo concerne;

¨      Vi è vizio e violazione di legge, sanzionabile con la nullità, tutte le volte in cui i presupposti ed i requisiti dell’accertamento si estraneino
dall’ortodossia giuridica
e l’atto in cui sono confluiti risulta non conforme alle prescrizioni normative che lo riguardano.

L’iter procedurale e procedimentale è parte essenziale, fondamentale, decisivo del meccanismo impositivo fiscale. E’ attraverso esso rocedimento che si attuano, le procedure di legge, si individua il “rapporto d’imposta” e si giunge alla formazione, alla fondatezza dell’obbligazione tributaria.

Ogni debordo è abuso, dolo o colpa, è violazione del proprio compito; è ragione di qualificazione della responsabilità omissiva o commissiva. Specie quando si opera a tavolino, nei nostri giorni, è azzardato dire di aver accertato.
Dire e pensare di fare non è come effettivamente aver fatto. Si sa: dire e fare non sono la stessa cosa.

A ragione di tutto ciò come sia possibile attestare impositivamente che vi è stato accertamento, procedimento amministrativo-accertativo? Così non è stato né prima né dopo, di modo che le relative censure sono conseguenti.

5.VIOLAZIONE DI NORME TRIBUTARIE ed in particolare:

–   Art. 53 del D.P.R 26.10.72, n.633 in quanto non può esserci presunzione di cessione se non sono stati acquistati beni per la rivendita.

– Art.54 D.P.R. 633/72 per non aver la ricorrente agito nell’esercizio di impresa, né di arti o professioni.

–   Art. 55 D,P.R. 633/72 per non essere la ricorrente obbligata alla tenuta delle scritture contabili, e quindi alla dichiarazione IVA annuale, atteso la natura del compenso percepito per gli anni 2001 e 2002.

– Art. 56 D.P.R. 633/72 perchè la motivazione indicata dall’Ufficio non costituisce motivazione in relazione al fatto fiscale rilevante della ricorrente,
bensì al quadro che la G.d.F. ha voluto e dovuto costruire presuntivamente sulla base di dati errati, infondati, falsi. La parte per sua scelta non ha
assistito alle operazioni di verifica e non ha firmato il verbale di constatazione, disconoscendo da subito la mole di inesattezze ivi riportate
.

–    Art. 39 D.P.R. 29.9.1973, n. 600 in quanto la parte non ha agito nell’esercizio di impresa, né arti o professioni. Il compenso percepito è di
natura occasionale. Inoltre per detti anni è stato prodotto istanza di definizione dei redditi ai sensi della Legge 289/02.

L’espansione forzosa della verifica ha comportato, al fine di dare un’apparente giustificazione all’operato, la violazione di più norme.

SINTESI DELLA RAPPRESENTAZIONE FEDELE DEL CASO IN ESAME E DELLA RICORRENTE:

  • La ricorrente ha sempre svolto mansioni di lavoro dipendente fino all’anno 2003, anno in cui, visto anche i fatti accaduti, decide di
    lasciare il lavoro dipendente per avviare l’attività di prestazioni di servizi per aziende estere in maniera più organizzata, cioè a tempo pieno e
    professionalmente;
  • Negli anni 2001 e 2002 ha svolto solo occasionalmente ( ha iniziato per caso ) ed a tempo limitato funzioni di interpretariato ed assistenza a due operatori stranieri attenendosi alle istruzioni dettate per iscritto, vedasi allegati n.(9 e 10 ), che prevedono il compenso forfetario,
    già a disposizione della G.d.F: prima che iniziasse l’attività ispettiva, ma che stranamente non sono mai stati considerati!;
  • La ricorrente è stata ingenua ed avrà probabilmente pasticciato con la documentazione contabile afferente i pagamenti tramite banca avendo fatto confusione con le sue personali disponibilità finanziarie nello stesso conto concorrente, ma ciò non vuol dire che la ricorrente sia  evasore commerciale. Il disordine è giustificato dal fatto che prima del 2001 non aveva mai  svolto compiti commerciali; infatti
    il lavoro alle dipendenze di agenzia di xxxxxxxxxxxxxxxxne richiede tutt’altra capacità, quali la riscossione del xxio ( non l’emissione di fatture e quant’altro) la predisposizione di preventivi di xxxze e l’invio del resoconto alla casa madre; mentre nell’uso commerciale  i termini fatture, cambiali, tratte, registri contabili, spedizioni, ordini, bolle di accompagnamento etc rappresentavano per la ricorrente cose incomprensibili, specie per il primo anno 2001;
  • Non ha mai venduto merci e di questo la stessa G.d.F. nel verbale afferma di non aver rinvenuto né capi di abbigliamento né documenti amministrativi, se non qualche fotocopia di fattura del produttore italiano che spediva merce al rappresentato straniero. Tutti gli interpellati hanno dichiarato di non aver corrisposto alla ricorrente né provvigioni, né somme ad altro titolo e meno che mai per vendita di capi di
    abbigliamento. Il patrimonio immobiliare e mobiliare, grazie al cielo apprezzabile, della sottoscritta si è formato grazie all’eredità ricevuta dai suoi genitori, vissuti ad Addis Abeba ed al proprio lavoro di decenni nel campo assicurativo; elemento questo bastante per far desumere che la ricorrente non aveva certamente bisogno di evadere il modesto compenso degli arabi;
  • E’ illegittima la modalità di esecuzione dei controlli presso la banca per due ragioni:
    • I verbalizzanti hanno assunto i movimenti contabili come relativi alla presunta attività.
    • Non hanno estrapolato i movimenti relativi ai titoli personali, agli interessi, ai versamenti e prelievi di denari personali serviti per il sostenimento di spese familiari, quali il matrimonio della figlia, la ristrutturazione edilizia dell’abitazione, la riparazione dell’autovettura e così all’infinito.
  • La ricorrente ha prodotto ai fini Irpef per gli anni dal 1997 al 2002 definizione ai sensi dell’art. 9 della legge n. 289 del 2002, provvedimento tombale, mentre non ha, perché non tenuta, prodotto alcunché ai fini I.V.A. non essendo mai stata soggetto passivo d’imposta ai fine delle
    indirette (allegato n. 11);
  • Per l’anno 2003 ha istituito la partita Iva ed ha tenuto le scritture contabili; ha prodotto le dichiarazioni fiscali previste dall’ordinamento tributario. L’indagine condotta per il periodo fino al 30.6.2003 non può misteriosamente fornire gli elementi per presumere il reddito dell’anno 2003 !. E’ evidente l’omissione dell’Agenzia delle Entrate, che pur essendo a conoscenza del’esistenza del  soggetto d’imposta, non ha neppure chiesto le scritture contabili dell’anno 2003, quanto meno per verificarne  il comportamento;
  • Evasore è colui che organizza la propria vita per volontariamente evadere le imposte e non chi può aver commesso, semmai, qualche errore commerciale, mentre l’aspetto cruciale che ci riguarda, fin dal sorgere della questione, è stabilire se xx.000,00 euro ricevuti da soggetto estero per una prestazione occasionale, non nell’esercizio d’impresa, sia soggetta ad IVA o meno, fermo restando che le imposte dirette sono state pagate; Questo evento fortuito, incredibile e sciocco per il suo reale peso e non per quello montato, ha inciso negativamente nella struttura morale e, cosa grave, ha distrutto il clima di serenità della famiglia, fino a cancellare decenni di consolidati rapporti familiari.

P.Q.M.

Il sottoscritto, avuto altresì riguardo allo spirito ed alle prescrizioni dello Statuto dei Diritti del Contribuente (Legge n.212/2000), viene a finale
considerazione e conclusione che i tre avvisi di accertamento risultano completamente ed in radice, come pure nella loro orditura tempore-sequenziale e concatenazione ordino-giuro-strumentale, estranei al nostro Stato di Diritto ed al nostro Ordinamento Giuridico Tributario. Tanto a ragione della loro infondatezza, intrinseca illiceità, abusività, arbitrarietà e piena illegittimità. Per cui sono da estromettere dal sistema fiscale, in uno, col procedimento “pagamento/riscossione” che l’Ufficio è proteso a voler prefigurare e svolgere.

Trattasi di atti qualificabili nulli per alcune loro specificità di viziosità, ingravescenti di tal genere di configurazione ed annullabili per le
altre fattispecie di antigiuridicità, che portano all’istituto dell’annullamento.

Ed a tali fini ed esiti di Giustizia, richiamando ciascun punto di ricorso ed elemento difensivo introduttivamente conferito nella controversia, il
sottoscritto

CHIEDE

A)    AI SENSI DELL’ART.47 DEL D.LGS. 31/12/1992, N.546 E S.M. a Codesta On.le Commisione, in via cautelare, voler accogliere l’istanza di sospensione dell’esecuzione dei tre atti impugnati, che qui si formula, non essendo in grado di corrispondere le imposte, le sanzioni ed accessori computate. La sottoscritta, fino ad oggi, ha già sostenuto oneri maggiori di quelli riscossi per la collaborazione menzionata.

B) DI VOLER  AMMETTERE LA TRATTAZIONE, IN OGNI SUO SVOLGIMENTO DISCUSSIVO, IN PUBBLICA UDIENZA, sussistendo, per la Parte ed il Sottoscritto, la necessità di avere completa e diretta conoscenza e contezza dell’agire e dell’atteggiarsi, eventualmente oppositario dell’Ufficio e delle tesi di esso, a confutazione dei motivi oppugnatori assunti dal sottoscritto in questo ricorso.

C) AI SENSI DELL’ART.7 DEL D.LGS. N-546/92, si applichino tutte le attività istruttorie per il più tempestivo, organico e congruente esercizio dell’attività cognitiva, il cui cimento, nel caso di specie, si prospetta come soverchiante, per giungere a definire l’intera sequela delle illegittimità in cui G.d.F. e Ufficio sono incappati.

D) DI VOLER ACCOGLIERE, NELLA SUA TOTALITA’, IL PRESENTE RICORSO, e, per effetto e con riferimento alle previsioni di legge, dichiarare nulli o annullati i tre avvisi ed inesistente ogni obbligazione d’imposta ed accessori, essendo essi del tutto arbitrari ed inidonei a costituire alcuna ebenza erariale, tanto che l’astrattezza di essi, li rende invalidi per mancanza di causalità. Per sua intrinseca ed imprescindibile natura, l’accertamento preclude ogni tipo di valutazione, ma soggiace alla più severa decisione del Giudice, al quale la ricorrente ha fornito prove dell’errata ontabilizzazione dell’imponibile fatta dalla G.d.F. e successivamente dall’Agenzia delle Entrate di Gioia del Colle con i suoi tre avvisi di accertamento.

In via del tutto residuale ed in subordine, qualora Codesta Commissione ritenga territorialmente competente la prestazione, voler dichiarare dovuta l’I.V.A. sul compenso percepito pari ad euro xxx000,00 per l’anno 2001 ed euro 4xxxx0, 00 per l’anno 2002.

CON IL FAVORE DELLE SPESE E DEGLI ONERI DI GIUDIZIO.

 SI PRODUCONO I SEGUENTI ATTI:

  • Copia del ricorso consegnato all’Agenzia delle Entrate;
  • Fotocopia della ricevuta di deposito;

ALLEGATI:

  • All: 1 – Copia  dei n.3 avvisi di accertamento impugnati;
  • 2 –  Copia del PVC;
  •  3 – fotocopie: ricevute affitto,  e/c Unicredit, allegato 5 del P.V.C.;
  •        4 –  fotocopia e/c Unicredit c/ xxxxxxxxxxxxxx;
  •        5 –  fotocopie: pag.11 del P.V.C., fatt. T.M. di xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxl., n. 130 del xxxx002, n. xxxdellxxxxx2002, fattura  n. xxxx del
    19.4.2002 della Trxxx S.r.l., fatt. 1xxx2 dell’8’82002 della Fxxx. S.r.l., fattura n. 7xxx del 21.10.2002 della GexxxxxxxxS.n.c.;
  •        6  – n.28 fotocopie di fatture commerciali;
  •        7  -fotocopie: assegno di euro 6.xxx40 intestato alla soc. Gaxxxx S.r.l. con dichiarazione, fattura  n. 445 del 12xx2002 della ditta Creazioni Gaxxx S.r.l., fattura n. xx2 del 23.10.02 della xxx S.r.l.;
  •        8  -fotocopia Quadro RG modello Unico 2003;
  •        9  -fotocopia conferimento delega di AL xxxxA;
  •       10  -fotocopia  conferimento delega Babxxxxxxlce;
  •       11  -fotocopie: definizione fiscali anni dal 1997 al 2002 ai sensi della Legge 27.12.2002, n. 289,  con relativi versamenti;
  •       12  -fotocopia dichiarazione Inizio attività mod. AA9/7 Agenzia delle Entrate dall’1.1.2003;
  •       13  -fotocopie: Dichiarazioni Unici anni 2001-2002-2003;
  •       14  -fotocopia del libretto di lavoro;
  •       15 – fotocopia assegno me medesimo rilasciato in pagamento di forniture locali ma negoziato nel Napoletano da sconosciuti cinesi.

Putignano, li 15/12/2005
Con ossequio
_________________________

(Il difensoreabilitato, Rag. Tonio Detomaso)

 

DICHIARAZIONE DI CONFORMITA’ DELLA COPIA DEL RICORSO ALL’ORIGINALE.

Il sottoscritto rag. Tonio Detomaso, in qualità di difensore abilitato della Signora xxxxxxxxa attesta, ai sensi dell’art.22, comma 3, del D.Lgs.
546/1992 e s.m., che questo ricorso è conforme all’originale consegnato all’Agenzia delle Entrate di Gioia del Colle in data __________.
Firma del difensore
______________________
(rag. Tonio Detomaso)

Ricorso avverso il provvedimento diniego rimborso IVA

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ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI BARI.

Oggetto: PROVVEDIMENTO DI DINIEGO PARZIALE RIMBORSO I.V.A. ANNO 2004 – Illegittimità del Provvedimento – annullamento.

Ricorso: Avverso il Provvedimento di diniego, prot. N. 2xx8 del 1xxx6, anno d’imposta 2004, emesso dall’Agenzia delle Entrate Ufficio di Gioia del Colle (Ba) in data xxxxxxxxx, notificato in data 1xx.2xx6, tramite servizio postale raccomandata 760xxxx86163-3.

Contro: Agenzia delle Entrate Ufficio di Gioia del Colle.

RICORRENTE

CASEIFICIO    xxxxxxx  S.R.L.(contribuente di fatto e di diritto), con sede amministrativa e con domicilio fiscale in Putignano (Bari), xxxx37 ( tratto Putignano-Noci ) n.xx C.F. xxxxxxxxe, per essa:

l’Amministratore Unico e legale rappresentante

xxxxxxxxx,  nato a Putignano (Ba) il xxxxxxx, ivi residente Vxxxxx, codice fiscale xxxxxxxxxxxxxxxxx, e, per nome e conto di entrambi i soggetti giuridici d’imposta, il difensore tecnico abilitato:

Rag. Tonio Detomaso,  Con studio professionale alla via G. Pascoli n. 27/A, CAP 70017, Putignano (Ba), codice fiscale  DTMTNO47P04H096B; giusta procura alle liti, rilasciata a margine del presente atto di ricorso, a cura del predetto amministratore unico della S.r.l. CASEIFICIO xxxx, ,  già testè compiutamente generalizzato.

1) CON RICHIESTA DI TRATTAZIONE DELLA CAUSA IN PUBBLICA UDIENZA, AI SENSI DELL’ART.33 1° COMMA DEL D. LGS. n. 546/92.

Il sottoscritto difensore rag. Tonio Detomaso, ha ricevuto mandato difensivo dal Sig. xxxxxxo, quale amministratore unico pro-tempore della S.r.l. CASEIFICIO xxxxxxx, essendo alla società giunto a notifica, il 1xxxxx006, ( a cura delle Poste Italiane ), il Provvedimento di diniego parziale del rimborso I.V.A. prot. N. xxxxx per l’anno 2004, emesso il 1xxxxx6 dall’Agenzia delle Entrate Ufficio di Gioia del Colle (Ba).

Ricorre

A Codesto stesso Giudice tributario affinchè abbia ad esercitare la relativa cognizione e decida la controversia ai sensi dell’art. 36 del medesimo D. Lgs. n. 546/1992.

 MOTIVI  DI  RICORSO

IN  FATTO

  • La S.r.l. Caseificio xxxxxxe, esercente l’attività lattiero casearia, per il periodo d’imposta 2004 presentava al Servizio Riscossione Tributi Concessione di Bari, in data 1xxxxx2005, prot. 5xx , mod. VR/2005, richiesta di rimborso del credito IVA relativo all’anno 2004, per l’ammontare di euro 6xxxx,00. Apponeva la crocetta, nel rigo VR5, nella casellina indicante la lett. a) aliquota media riferita all’art. 30, c.3, del D.P.R. 26.10.1972, n. 633 e nella casellina della lett. c) del medesimo articolo.   L’Ufficio in data 1xxxxx05, prot. 2xxxx, chiedeva alcuni documenti per il completamento istruttorio e la parte li produceva in data 27xxxx5, prot. 20xxxx026926;
  • Con provvedimento notificato il 18.1.2006, l’Agenzia delle Entrate comunica il diniego parziale del rimborso IVA, cioè per euro 1xxx,00, perché ritiene che i lavori di ristrutturazione, di cui alle fatt. n. xx del 6xxx della Ditta xxxxxine F. e n. xxxx/2004 del 1xxxx.2004 della ditta xxxxxla B., non rientrino nel concetto di bene ammortizzabile.
  • Riconosce la differenza da rimborsare pari ad euro 5xxxx,00.

IN  DIRITTO

INESISTENZA INEFICCACIA ED INVALIDITA’ DELLA MOTIVAZIONE–   L’Ufficio scrive nel suo provvedimento che il diniego parziale del rimborso IVA è dovuto al fatto che l’IVA afferente i lavori di ristrutturazione dell’immobile, per effetto del combinato disposto degli artt.
102, 2° c. del TUIR e dell’art. 19bis2, comma 1, n.5 del D.P.R. 633/72, in quanto cespiti non ammortizzabili, non è rimborsabile.

La suddetta citazione va disattesa perché imprecisa e deviante. La lettura delle due norme appena richiamate, nega all’Ufficio il
piacere di essere assunta quale motivazione del denegato rimborso parziale, visto che le norme appena citate definiscono il concetto di cespite
ammortizzabile legato all’individuazione del coefficiente di ammortamento. Non aggiunge altro e nessun altro contributo utile a chiarire la motivazione del diniego viene offerto al contribuente, pertanto, l’atto così carente è privo di qualsiasi effetto produttivo.

L’IVA in eccedenza, ovvero quella che il soggetto passivo d’imposta ha sostenuto oltre quella dovuta sulle operazioni attive, infatti, ai sensi dell’ art. 30 del D.P.R. 633/72, è sempre rimborsabile, purchè si siano verificati i presupposti e la legittimità di cui alla norma; ciò significa che, nel caso in esame, se l’IVA non è rimborsabile ai sensi della lettera  c) dell’art. 30 perché si ritiene il cespite non  ammortizzabile, la stessa imposta deve essere rimborsata ai sensi del 2° comma, oppure della lett. a), oppure dei restanti comma, ma non si perde il diritto alla restituzione dell’IVA a credito.

A governare, invece, il rimborso dell’IVA eccedente è l’art. 30 del D.P.R. 633/72, ma l’Ufficio non ne fa alcun cenno. L’Ufficio avrebbe dovuto spendere maggiori informazioni e soprattutto chiarire esattamente i motivi del diniego. E’ prassi negativa e comportamento infondato
negare il diritto di credito di euro xxx00,00, richiamando un combinato disposto, la cui lettura ed interpretazione non fornisce al creditore la
certezza del suo mancato diritto.

STRUMENTALITA’ DEI BENI OTTENUTI A SEGUITO DEI LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE DEL FABBRICATO INDUSTRIALE ESEGUITI IN FUNZIONE DELL’ATTIVITA’ SVOLTA.  

La Commissione Tributaria Regionaledella Puglia in tema di lavori di ristrutturazione ha recentemente statuito, in presenza di spese non classificate incrementative ma veri e propri beni strumentali, che per stabilire  se un bene possa considerarsi “ strumentale”
all’esercizio dell’attività d’impresa oppure debba considerarsi una “ miglioria” dei beni presi in locazione dalla stessa, è necessario tenere conto
della funzione che quei beni assumono nell’organizzazione aziendale, nonché del loro legame funzionale con gli altri beni facenti parte del complesso aziendale preordinato all’esercizio dell’attività d’impresa e della loro attitudine alla produzione del reddito.

Conclude la Sentenza affermando che quando le opere sono funzionalmente legate fra loro e funzionalmente legati ad altri beni aziendali,
concorrendo a formare un complesso aziendale, devono intendersi strumentali all’esercizio dell’attività di impresa.

Ora, le norme in materia di igiene e sicurezza per l’attività di caseificio, sono molto severe; non si può fare a meno di osservare che il pavimento deve essere ricoperto con piastrelle particolari, che i muri devono essere piastrellati, che l’impianto idrico deve avere particolari accorgimenti, che le celle frigorifere devono essere accolte in appositi box in muratura, che il sistema di aerazione deve essere perfetto e così tante altre cose. Appare evidente che le dette opere sono puramente funzionali all’attività produttiva, senza le quali non è possibile svolgere alcuna attività casearia, così come è corretto e prudente fiscalmente che l’ammortamento del costo non può che avvenire spalmandolo su almeno 6 anni,

cioè per la durata minima della locazione.
L’esame del contratto di locazione, mette in evidenza la durata della locazione, la sua rinnovabilità e, fatto sostanziale, agli artt. 7 e 12 sono indicati i lavori da eseguirsi al fabbricato al fine di adeguarlo alle ineludibili esigenze connesse all’attività casearia da svolgersi.

DIRITTO AL RIMBORSO ART. 30 DEL D.P.R. 26.10.1972 N. 633-

La ricorrente ha richiesto il rimborso dell’Iva perché effettua esclusivamente attività che comportano l’effettuazione di operazioni
soggette ad imposta con aliquote inferiori ( 4%) a quelle dell’imposta relativa agli acquisti ( 10% e 20% ), rappresentando nella dichiarazione annuale e nel modello VR detti elementi. E’ sfuggito all’Ufficio che il rimborso del credito IVA compete alla ricorrente, indipendentemente dalla qualificazione che ha voluto fare in tema di cespiti ammortizzabili.

MANTENIMENTO DEL DIRITTO ALLA DETRAZIOINE DELL’IMPOSTA ASSOLTA SUI LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE. 

L’attività dell’Ufficio appare cavillosa e pretestuosa, e certamente inopportuna, non avendo alcun fondamento giuridico. Infatti, ammesso
che la Giurisprudenza,  sul principio che “ i lavori di ristrutturazione in genere” e quindi da vedersi nel caso specifico, fosse orientata nel senso che detti lavori non rientrino nella definizione di bene ammortizzabile e di conseguenza non ammissibili alla richiesta del rimborso dell’imposta assolta, indirizzo, tra l’altro, valido solo per i casi previsti dall’art. 30, lettera c) del D.P.R. 633/72 ( cespiti ammortizzabili), non vi è dubbio che la stessa imposta assolta dal contribuente diverrebbe esigibile per gli effetti di cui alla lettera a) dello stesso articolo, ovvero quale diritto al rimborso della maggiore imposta pagata sugli acquisti rispetto all’aliquota media delle operazioni attive, decisamente più bassa nel settore caseario.

Infatti, l’IVA afferente tali beni in quanto ritenuti non ammortizzabili, non rientrando quindi nella previsione normativa di cui alla lettera c), comma 3, del citato art. 30, manterrebbe,  senza dubbio alcuno, la natura di detrazione.

In merito alla detrazione dell’IVA assolta e afferente la fattispecie in esame, si osserva che gli art. 19 e seguenti del D.P.R. 633/1972, ammettono in detrazione l’imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni e servizi importati o acquistati nell’esercizio di impresa. Si ritiene, pertanto, che nei casi in esame sia detraibile l’IVA assolta in relazione alle spese di trasformazione, miglioramento, ampliamento e ristrutturazione di beni di terzi, concessi in uso o comodato, in quanto l’imposta è afferente a beni destinati a essere utilizzati per operazioni, rientranti nell’oggetto dell’attività propria dell’impresa, che conferiscono il diritto alla detrazione.

Per i suesposti motivi

CHIEDE

A)     Che Codesta On.le Commissione Tributaria Provinciale di Bari, in accoglimento del presente ricorso, dichiari la nullità per l’illegittimità e l’infondatezza del provvedimento impugnato;

B)    Che sia riconosciuto il diritto al rimborso nei modi e termini richiesti;

C)    Che in subordine sia dichiarato il diritto alla detrazione;

D)    Condannare l’Amministrazione Finanziaria, in caso di soccombenza, alla rifusione  delle spese del giudizio;

E) Ai sensi dell’art. 33, 1° c. del D. Lgs. 546/92 di voler trattare la causa   in pubblica udienza;

Con vittoria delle spese di giudizio.

Si deposita:

  • copia del ricorso consegnato all’Agenzia delle Entrate di Gioia del Colle;
  • copia della ricevuta di deposito;
  • Fotocopia del provvedimento impugnato;
  • Fotocopia mod. VR 2005;
  • Fotocopia della dichiarazione IVA 2005;
  • N. 2 fotocopie fatture di spesa;
  • N. 1 copia del contratto di locazione.

Putignano, xxx.2006
Con Ossequio
Il difensore abilitato, rag. Tonio Detomaso
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ATTESTAZIONE DI CONFORMITA