RICORSO TARSU

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ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE ‑ B A R I

Oggetto: Ricorso introduttivo cumulativo avverso gli avvisi  di accertamento TARSU – Tassa Rifiuti solidi urbani – nn. 511/512/513/2005, emessi il 10.10.2005 dal Comune di xxxxxxx, notificati a mezzo servizio postale e consegnati alla parte ricorrente da soggetto estraneo.

Annullamento degli atti di accertamento

Contro: Comune di Giovinazzo – Ufficio Tributi.

(art.18 D.Lgs. 31.12.1992, n.546 e s.m.)

Ricorrente : XXXXXX, con sede legale in Bari, Via XXXXXXXX Codice fiscale xxxxxxxxxxxxxxx e, per essa:

Il legale rappresentante: xxxxxxxxxx, nato a Bari il xxxxxxxxxxxxed ivi residente alla via zzzzzzzxxx C.F. xxxxxxxxxxxxxxxxx;

DIFENSORE TECNICO ABILITATO:

La società xxx, nella persona del rappresentante legale Sig. xxxxx, difesa per delega a margine del presente atto dal Ragionier Tonio DETOMASO, codice fiscale DTMTNO47P04H096B, iscritto all’Albo al n. 139, ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dell’anzidetto delegato professionista, rag. Detomaso, ubicato in Putignano (Bari), Via Giovanni Pascoli, n.27/a.

Il sottoscritto Rag. Tonio DETOMASO, giusto incarico ricevuto dal signor xxxxxx, rappresentante legale della xxxxxxxx , con sede in Bari alla , riscontratane la necessità, ai sensi e per gli effetti degli artt. 18 ‑ 19 ‑ 20 ‑ 21 e 22 del          D.Lgs. n.546/92  e s.m.,

Con richiesta di:

a)      TRATTAZIONE in PUBBLICA UDIENZA, ex art. 33 del D. Lgs. 546/92;

b) DI ESERCIZIO DI OGNI POTERE ISTRUTTORIO, OVE OCCORRA, ESSENDO LA CONTROVERSIA FORIERA DI ASPETTI COGNITIVI DEL TUTTO PARTICOLARI, NELLA PROSPETTAZIONE DELLA RATIO DI BISOGNO E DI ASSENTIMENTO DELL’ART.7 DEL D.LGS. N.546/1992;

c) ALL’ UFFICIO TRIBUTI DEL COMUNE AVVISANTE, DI ANNULLAMENTO DEGLI OPPOSTI AVVISI, MEDIANTE L’APPLICAZIONE DELL’ISTITUTO DELL’AUTOTUTELA, AI SENSI DELL’ART. 68 DEL D.P.R.  287/92 E DELL’ART.2 QUATER DEL D.L. 30.09.1994, IN LEGGE 30.11.1994, N.656 E DELLE DIRETTIVE APPLICATIVE E  REGOLAMENTARI DETTATE DALLE ISTITUZIONI GERARCHICHE SOVRAORDINATE;

d) ALL’UFFICIO TRIBUTI DEL COMUNE DI NON EFFETTUARE ALCUNA ISCRIZIONE A RUOLO.

PREMESSA  AI  M O T I V I  DEL  RICORSO

I tre Avvisi di Accertamento, nel loro costrutto formale, sostanziale, logico e giuro-impositivo, in abbinata constatata ricorrenza della connessione per natura tra gli stessi sul piano dei motivi, dei fatti, dei criteri di discrimine dei presupposti, del tributo, dell’oggetto e di ogni altro elemento giuridicamente considerabile, nella ratio dell’art.29 del D.Lgs. n.546/1992 e s.m. e delle norme del C.P.C., configurano la Condicio Iuris di proponibilità “cumulativa”  del presente ricorso.

Da tanto si ha che i tre  Avvisi Fiscali si pongono in lineare connessione soggettiva ed oggettiva; che l’economia delle funzioni di Giustizia (e non solo di essa) attrae nella possibilità di riunione (volontaria) dei ricorsi (S.C. Cassazione a Sezioni Unite 19.01.1970, n.105, in Imp. Dir. Erar., 1970, 815 e molte altre, in consonanza e conformità con la letteratura e la Giurisprudenza Amministrativa).

RICORRE

a Codesta On.le Commissione Provinciale, per i motivi che seguono, salvo altri ai sensi del 2° comma dell’art. 24 del citato D. Lgs., per opporsi e contestare gli avvisi di accertamento, datati 10.10.2005 emessi dal Comune di xxxxxxxxx, Ufficio Tributi, notificati a persona estranea ( tabaccaio nei pressi della sede sociale) sia alla società sia al legale rappresentante in data non nota e da questi consegnati al Sig. xxxxxxxLuigi il 12.12.2005, attinenti agli anni d’imposta 2000-2001-2002-2003-2004.

IN  FATTO

  • La società xxxxxx è stata raggiunta da n. 3 avvisi di accertamento  per la Tarsu, Tassa rifiuti solidi urbani, per gli anni 2000-2001-02-03-04, afferenti il fabbricato industriale sito in Giovinazzo, strada xxxxxx, così distinti e rappresentati:

a)      Avviso di accertamento n. 511/2005, relativo al capannone sede dell’attività produttiva, mq. 750, importo dovuto per l’anno 2000 euro 1.305,00, addizionale 182,70, sanzione 1.305,00, interessi 334,73 per complessivi euro 3.127,43 e così euro 3.053,05 per l’anno 2001, euro 2978,66 per l’anno 2002, euro 2.904,28 per l’anno 2003, euro 2.971,38 per l’anno 2004, euro 6,00 per spese di notifica, per un totale di euro 15.040,80;

b)      Avviso di accertamento n. 512/2005, relativo agli uffici, mq. 48, importo dovuto per l’anno 2000 euro 96,050, addizionale 13,44, sanzione 96,05, interessi 24,64 per complessivi euro 230,18 e così euro 224,70 per l’anno 2001, euro 219,23 per l’anno 2002, euro 213,75 per l’anno 2003, euro 218,68 per l’anno 2004, euro 6,00 per spese di notifica, per un totale di euro 1.112,54;

c)      Avviso di accertamento n. 513/2005, relativo all’area scoperta dell’opificio, mq. 6.134, importo dovuto per l’anno 2000 euro 3.803.08, addizionale 532,42, sanzione 3.803,08, interessi 975,49 per complessivi euro 9.114,07 e così euro 8.897,29 per l’anno 2001, euro 8.680,52 per l’anno 2002, euro 8.463,74 per l’anno 2003, euro 8.659,32 per l’anno 2004, euro 6,00 per spese di notifica, per un totale di euro 43.820,94;

  • Si legge negli avvisi che la superficie tassabile è stata determinata con riferimento alla superficie catastale e/o con riferimento ad immobili similari ubicati nell’ambito comunale,  avendo proceduto sulla scorta di presunzioni semplici.

Va subito rilevato che il procedimento di accertamento è anomalo ed arbitrario, non rispettoso dei valori economici aziendali e della moralità di chi responsabilmente conduce quotidianamente l’azienda, affrontando difficoltà di ogni genere.

  • L’attività della società ricorrente consiste nella lavorazione dei graniti e dei marmi; attività un tempo fiorente ma che negli ultini quindici anni ha subito una notevole contrazione del volume dei ricavi a causa della massiccia concorrenza, della domanda spostasi verso altri prodotti sostitutivi meno costosi e/o tecnologicamente all’avanguardia e comunque prodotti che l’azienda Bxxxxxx, date le caratteristiche aziendali, non può produrre per mancato aggiornamento strutturale e capacità finanziaria necessarie per la reimpostazione dell’intera azienda; non ultimo a causa dell’età avanzata dei due soci.

La società con i due dipendenti in forza svolge un lavoro le cui dimensioni sono, senza dubbio, configurabili di una piccola azienda artigiana. I soci titolari, già anziani e di prossimo pensionamento, non avendo successori, unitamente al fattore indisponibilità di mezzi finanziari, non si sono opposti al naturale ed inesorabile avanzare del degrado dei macchinari e degli impianti, ridotti oggi ad un ammasso di ferro vecchio, arrugginiti, non funzionanti, rinunciando di fatto al necessario rinnovamento tecnologico che i tempi moderni richiede. Nell’osservare l’inutilità e l’impotenza di questi macchinari nonchè l’abbandono di quasi tutta la struttura aziendale si è presi da un tremenda angoscia. Le fotografie allegate danno testimonianza dei fatti descritti.

  • La forza lavoro, che fino a dodici, tredici anni fa, era  costituita mediamente da n. 18 operai, col passare degli anni, è andata sempre più diminuendo, tant’è che al 31.12.2005 l’azienda contava solo 2 operai.
  • L’immobile strumentale, costituito da un localetto ufficio, dal capannone in cui si svolge la lavorazione e da un ampia area scoperta, già da diversi anni, è sovradimensionata per il fabbisogno produttivo, tant’è che il capannone è utilizzato solo per un terzo, mentre sulla superficie scoperta non viene svolta alcuna attività produttiva, cioè non è operativa. Solo qualche tratto di decine di metri dell’area scoperta funge da zona di disimpegno, tutto il resto dell’area, compreso il fabbricato, è immobile, è inerme, è abbandonata e senza un minimo di manutenzione. Anche l’occhio più disattento saprebbe vedere che trattasi di azienda intristita e prossima allo smantellamento.
  • L’azienda, in funzione della particolare attività produttiva e commerciale, garantendo la sicurezza sul lavoro e la tutela dell’ambiente, ha sempre adottato tecniche ed accorgimenti che assicurassero il corretto svolgimento di tutte le fasi produttive e che il conseguente ciclo di lavorazione si concludesse senza la produzione di rifiuto speciale, nè di quello da smaltire attraverso il servizio di raccolta curata dal Comune, cioè il rifiuto speciale assimilato all’urbano. La segheria ha funzionato fino all’anno 1993, anno in cui, accertato definitivamente il crollo della domanda, sono stati licenziati gli operai e cessata l’attività di segheria.

All’epoca il taglio delle lastre di marmo avveniva con macchinari tradizionali che impiegavano acqua ed il residuo della lavorazione (polvere) veniva convogliato nelle vasche di sedimetazione; l’acqua per effetto dello scorrimento continuo, dalle vasche, riprendeva il suo cammino e per mezzo della pompa di sollevamento, veniva convogliata nell’impianto di taglio e quindi riutilizzata; cioè a circuito chiuso. Una volta chiusa la segheria si è passati, ma già da circa 15 anni, alla lavorazione con il taglio diamantato; ciò significa che con detto procedimento non si produce polvere,  tant’è che le vasche di sedimentazione da anni sono vuote.

L’impianto segheria, obsoleto, oggi è un ammasso di ruggine e nel fabbricato che lo include trovano ospitalità decine di colombi.

  • L’inesorabile e costante calo di commesse, non legato ad un fatto contingente, ha provocato perdite ed ha impoverito il patrimonio netto dell’azienda; aspetti questi facilmente osservabili dalla lettura dei bilanci qui allegati:

Anno   componenti positivi                      costi                          Utile/perdita

2000       247.962,00                         325.244,00                       – 77.282,00

2001       198.644,00                         281.082,00                       – 82.438,00

2002       212.357,00                         208.805,00                       +  3.552,00

2003       278.478,00                         290.139,00                       – 11.661,00

2004       297.161,00                         281.755,00                      + 15.406,00

In soli 5 anni l’azienda ha perso ben 171.381 euro di capitale. E’ palese l’antieconomicità dell’attività che è proseguita negli anni, scontrandosi con basilari concetti di economia aziendale, solo per orgoglio personale dei soci. La caparbietà, tuttavia, sta costando un fiume di denaro e gravose garanzie reali e fideiussorie concesse al sistema bancario per conservare uno scoperto medio di euro 95.000 annui; dato riscontrabile nell’ultimo quinquennio.

  • La società ricorrente ha inteso fornire dati propedeutici per raffigurare il proprio status e quindi esprimere che:
    • L’azienda quale soggetto passivo d’imposta ha una ridotta capacità contributiva, non percepibile in funzione della TARSU, tassa imposta dal Comune, non essendo soggetto passivo utile destinataria del servizio correlato all’imposizione;
    • L’azienda non è soggetto destinatario della tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani perchè non conferisce alcun rifiuto al servizio pubblico;
    • Gli avvisi di accertamento sono irragionevoli, infondati, illegittimi, non motivati e non provati.
  • L’art. 2 del D.P.R. 915/1982, allo scopo di assicurare una destinazione idonea e controllata per ciascuna tipologia, ha operato, in funzione della loro origine e della loro composizione, una classifica dei rifiuti distinguendoli in solidi urbani e speciali. Sono definiti urbani i rifiuti prodotti nelle abitazioni e, in genere, negli insediamenti civili, nonchè quelli di qualunque natura e provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche o di uso pubblico, sulle spiagge e sulle rive dei fiumi. Sono classificati, invece, speciali i rifiuti provenienti da attività industriali, agricole, artigianali, commerciali e sanitarie e da impianti di depurazione di reflui, nonchè quelli costituiti dai materiali provenienti da demolizioni, costruzioni, scavi ed i macchinari e le apparecchiature obsolete o fuori uso.

Tra gli speciali si distinguono i rifiuti che per le loro caratteristiche qualitative sono tecnicamente trattabili negli impianti per lo smaltimento dei rifiuti urbani e, come tali, vengono considerati assimilabili a questi ultimi ai fini della raccolta e dello smaltimento.

Ne consegue che possono essere conferiti al servizio pubblico i rifiuti speciali, c.d. assimilabili agli urbani, che, per quantità e qualità, risultino accettabili negli impianti di trattazione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Tale modalità non rappresenta nè un diritto nè un obbligo ed il produttore potrà ricorrervi solo attraverso la stipula con l’ente gestore dell’impianto di un’apposita convenzione in cui dovranno, tra l’altro, essere specificate le modalità di conferimento, i quantitativi conferibili, il corrispettivo dovuto. I Comuni possono dichiarare assimilati agli urbani e disciplinare come tali a tutti gli effetti anche i rifiuti da attività agricole, artigianali, commerciali e di servizi. La dichiarazione si fonda sulla valutazione della quantità e qualità dei rifiuti normalmente prodotti in attività che, per loro natura, dimensione e collocazione nel tessuto urbano, presentano necessità analoghe a quelle da cui derivano i rifiuti solidi urbani. In nessun caso possono essere dichiarati urbani i rifiuti derivanti da lavorazioni industriali.

Il regolamento del Comune deve fornire un elenco di tipologie di rifiuti speciali non pericolosi che possono essere portati, per lo smaltimento definitivo, all’impianto di smaltimento che si ha a disposizione. Questi rifiuti si chiamano rifiuti speciali assimilabili ai rifiuti urbani.

Di questi rifiuti si deve fornire, sempre il Comune con il regolamento, un criterio attraverso il quale che li produce possa, entro certi limiti quantitativi, servirsi dei cassonetti stradali ed affidare quindi la gestione della raccolta, del trasporto e dello smaltimento, al servizio  pubblico.

  • La questione, in verità, lineare, chiara, trasparente e nei giusti rapporti assimilati dall’organo societario, è stata rappresentata idoneamente e, data la corrispondenza alla  verità e realtà, riteneva il legale rappresentante della società Bxxxxxxxxx, che le notizie affidate ai preposti alla gestione del tributo fossero sufficienti affinchè non derivassero ulteriori adempimenti ed esborsi finanziari. Egli, infatti, ha incontrato il responsabile del tributo e, sebbene a fatica, per un transitorio  riacutizzato personale problema di udito, ha ragguagliato sulla situazione aziendale. Non poteva immaginare che l’Ufficio avrebbe assunto tutt’altro comportamento e che non avrebbe, neppure, chiesto la collaborazione di altro addetto all’azienda al fine di acquisire i dati e definire i termini della questione che, in verità, resta scontata e di semplice dimostrazione  per il ricorrente.

E’ bene dirlo, la società non si è mai sottratta ai propri doveri aziendali nel pagamento delle imposte e delle tasse che fossero relative al conseguimento dell’imponibile tassabile o al godimento di un servizio.

Ma la società non è soggetto passivo del tributo TARSU.

IN  DIRITTO

Gli avvisi di accertamento opposti sono  nulli, illegittimi, infondati e non provati per i

 SEGUENTI MOTIVI:

1)      ECCEZIONE DI NULLITA’  DEGLI ATTI IMPUGNATI PER L’INESISTENZA DELLA NOTIFICA:

q  L’inosservanza del 145 C.P.C. per non aver eseguito la notifica nella sede della società, è affetta da nullità ( Comm. Trib. Centrale SS.UU. 25.6.1984, n. 7867, CASS. CiV., sez. II, 11.1.93, n.77, CASS. CIV. Sez. I,21.10.1994, n. 8648 ed altre e comunque le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione,con Sentenza 21.2.2002, n. 8091, hanno statuito che, in tema di notificazione a persone giuridiche, con particolare riguardo alle società di capitali, le stesse vanno eseguite, in primo luogo, con le modalità di cui all’art. 145, comma 1, c.p.c. e qualora tale modalità non sia utilmente esperibile al legale rappresentante secondo le modalità di cui agli artt. 138,139 e 141 c.p.c. per applicare infine il 140. Nella predetta decisione, la Cassazione ha osservato in via preliminare che la notifica non solo deve consentire al destinatario dell’atto di venire a conoscenza, ma deve anche assicurare al medesimo soggetto che richiede la notifica il pieno esercizio del potere di azione processuale, a lui spettante, per far valere nel processo le proprie pretese, giuridicamente tutelate).

q  Lo stesso art. 145 del CPC, secondo comma,  prescrive che la notificazione alle società non aventi personalità giuridica ( c.c. 2251, 2291 società in nome collettivo, 2313,2315,2316), si fa a norma del comma precedente, cioè il 1° comma, nella sede indicata nell’articolo 19, secondo comma; ossia dove svolgono attività in modo continuativo. 

q  La persona firmataria al ritiro dei tre plichi postale, cioè il tabaccaio sito nei pressi della sede sociale, è estranea sia alla società che all’amministratore xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.

2)      VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 58 e 59 DEL D.Lgs. 15.11.1993, n. 507-

Per il servizio relativo allo smaltimento dei rifiuti urbani interni, svolto in regime di privativa nell’ambito del centro abitato, delle frazioni, …i Comuni debbono istituire una tassa annuale ….

Ammesso che la ricorrente avesse un pò di rifiuto conferibile, nei modi e termini già indicati, è bene, tuttavia, precisare che, dallo stabilimento industriale, ubicato fuori dal centro abitato, il primo cassonetto  è collocato  a circa 600 metri; se ne deduce, quindi, l’inutilizzabilità.

Soggettivamente, va sottilineato che, da oltre 10 anni,  la ricorrente non conferisce alcun rifiuto perchè il taglio delle lastre avviene con taglio diamantato, il quale non produce residui di lavorazione di alcun genere. L’acqua impiegata per il taglio trasporta quelle piccole quantità di polvere residue fino alle vasche di sedimentazione; qui l’acqua prosegue nel circuito fino a ritornare nell’impianto di taglio. I piccoli e pochi ritagli di marmi vengono accatastati sul piazzale per essere poi ceduti a soggetti che li utilizzano per una successiva lavorazione. Quindi la società non ha rifiuti da smaltire, nè avrebbe potutto in quanto non sono rifiuti urbani nè assimilati agli urbani da conferire nel cassonetto del Comune.

3)      VIOLAZIONE ART. 62 COMMI 1°, 2°, 3°, 5° del D. Lgs. 15.11.1993 n. 507-

 I° Comma- Nella zona di ubicazione dello stabilimento il servizio di raccolta, sebbene molto distante, è istitutito ma non è attivato rispetto allo stabilimento della società ricorrente.

II° comma– la norma dice che non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati.

La parte chiarisce che a causa del ridimensionato giro d’affari, la superficie utilizzata per la lavorazione, oggi, non supera il 5% della superficie complessiva; ovvero 48 metri d’ufficio e 385 metri di capannone; la rimanente area non è utilizzata. Situazione questa che si constata dalla piantina planimetrica e dalle fotografie allegate, ma sopratutto verificabile mediante sopralluogo.

Tra l’altro, la ricorrente non produce rifiuti che siano smaltibili per mezzo del servizio di raccolta predisposto dal Comune per i motivi illustrati ed in considerazione della natura della lavorazione effettuata.

Nella realtà industriale i sottoprodotti trovano collocazione in processi produttivi  propri diversi da quello che li ha prodotti e nella realtà operativa di terzi imprese. Il legislatore ha infatti individuato in alcuni residui di lavorazione quelli che possono trovare utilizzo come materie seconde, o, addirittura come materie prime presso industrie quali cementifici, cartiere, ecc. trattandosi di rifiuti non destinati all’abbandono ma di materiali con una precisa utilizzazione e valorizzazione.

III comma–  La norma prevede che nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti.

L’azienda produce rifiuto speciale, in misura ridotta ed irrilevante, ma mai esso è assimilabile all’urbano e pertanto da conferire al servizio di raccolta del Comune, nel rispetto di quanto prevedeono i D.M. 27 luglio 1984 e D.M. 13.12.1984, con i quali sono stati dettati i criteri sulla cui base valutare l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, dando applicazione al disposto dell’art. 4, lett. E), D.P.R. n. 915 del 1982.

Questi decreti hanno attribuito importanza, ai fini dell’assimilabilità, ad un particolare fattore: la composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani ed a titolo esemplificativo sono nominati quali residui di produzione assimilabili ai rifiuti urbani: gli imballaggi in genere, i contenitori vuoti, gli scarti di lavorazione del legno di falegnameria, gli scarti di tessuti, gli avanzi di plastica, gli scarti della produzione alimentare.

Per un effetto parallelo ma di segno contrario la Giurisprudenza non ha mancato di evidenziare altresì che “ Sono rifiuto speciale i materiali di risulta da demolizione di edifici e da scavi”. Essi vanno avviati in discarica salvo che non possano essere riutilizzati. Il D.M. 26 gennaio 1990 ricomprende tra le materie prime secondarie i materiali provenienti da scavi, i laterizi, gli intonaci, il calcestruzzo proveniente dalla frantumazione dei residui di demolizioni e costruzioni, purchè privi di amianto e destinati al riutilizzo.

Occorre dunque distinguere:

  • I materiali provenienti da demolizioni e scavi costituiscono, di per sè, rifiuto speciale ( art. 2, DP.R. n. 915/1982);
  • Non sono disciplinati come rifiuti i residui risultanti dalla prospezione, estrazione, trattamento ed ammasso di risorse minerarie e dallo sfruttamento di cave;
  • Sono materie prime secondarie i residui di demolizioni e scavi (pietre, mattoni, frammenti) che possono essere riutilizzati e che vengono riutilizzati in altre costruzioni, nell’industria edilizia e ceramica, per rilevati e sottofondi stradali.

Va anche evidenziato il principio accolto ormai da tutti i Comuni d’Italia, ed il Comune di Giovinazzo non fa eccezione, che dalla superficie tassabile vanno detratte le zone su cui insistono ponti, macchinari ed impianti fissi.

V comma– Sono esclusi dalla tassa i locali e le aree scoperte per i quali non sussiste l’obbligo dell’ordinario conferimento dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati in regime di privativa comunale ….

Norma di chiusura che toglie ogni minimo dubbio circa il corretto comportamento assunto dalla ricorrente e dell’infondata pretesa del Comune di tassare inopinatamente ed in misura esagerata tutta la superficie dell’opificio, quando avrebbe dovuto, ricorrendone i presupposti, considerare la superficie utilizzata, l’oggetto del riufiuto e la quantità prodotta.  ECCEZIONE DI NULLITA’ PER VIOLAZIONE  DELL’ ART. 71 D.LGS. 507/93, DELL’ART. 3 LEGGE 7.8.1990, n.241, DELL’ART.7 L. 27.7.2000, n. 212, per MANCANZA DI  MOTIVAZIONE

In via preliminare si rileva che gli avvisi di accertamento devono ritenersi nulli per mancanza di motivazione. La funzione della motivazione va individuata nell’obbligo di esternare le ragioni del provvedimento, evidenziandone i momenti ricongnitivi e logico deduttivi essenziali in modo da consentire al destinatario dell’atto di svolgere efficacemente la propria difesa.

L’art. 71, comma 2 bis, del D. Lgs. 15.11.1993 n. 507, richiede che l’avviso di accertamento debba essere motivato in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati.

Negli avvisi di accertamento impugnati non vi è indicazione alcuna degli elementi insopprimibili richiesti dalla norma perchè si possa legittimamente affermare l’attività accertatrice del tributo, dal cui esito sarebbe dipesa la legittima riscossione della tassa.

L’Ente impositore avrebbe dovuto effettuare il preliminare esame della questione per verificare ed accertare l’esistenza dei presupposti, giuridicamente rilevanti ed idonei a far nascere l’obbligazione tributaria sia per chi dovrebbe usufruire del servizio, sia per chi lo deve fornire; se mancano i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche non nasce l’obbligazione tributaria ed ogni pretesa erariale è infondata, illegittima ed inesistente, pertanto gli avvisi opposti sono nulli.

5° VIOLAZIONE DELL’ART. 67 D.LGS. 507/93, 2° COMMA

L’Ente impositore nel determinare la base imponibile tassata non ha immaginato di considerare che la società ricorrente adotta accorgimenti tecnico organizzativi, i quali comportano un’accertato azzeramento del residuo della lavorazione.

Si è detto che la società, già da anni, adotta la lavorazione dei marmi con taglio diamantato, la cui operazione non da luogo assolutamente a nessun tipo di residuo o rifiuto. L’acqua utilizzata nel processo, trasporta quelle piccole modeste quantità di polvere nelle vasche di sedimentazione , qui decanta e prosegue rientrando nel ciclo di lavorazione. Per dare un’idea della quantità residua, si afferma e dichiara che delle sette vasche di sedimentazione solo una è quasi piena, tutte le altre sono vuote e perchè si riempi una vasca devono trascorrere almeno 5-6 anni. E’  bene ribadire che la società non è interessata  dal tributo perchè comunque il rifiuto non viene e non può essere smaltito nel cassonetto che, tra l’altro, è situato ad una distanza di 600 metri dall’opificio.

La tariffa così applicata è chiaramente illegittima per mancanza dei presupposti soggettivi – oggettivi da una parte e per mancanza della prestazione dall’altra, non sostenendo il Comune alcuna spesa collegata all’insediamento. Il Comune viola l’art. 61 del D.Lgs. 507/93, il quale  prevede che il gettito complessivo della tassa non può superare il costo di esercizio del servizio di smaltimento dei rifiuti urbani interni. Condizione che lo stesso Comune ha ribadito con l’art. 4 bis del proprio Regolamento Comunale.

6) ECCEZIONE DI NULLITA’ DEGLI ATTI IMPUGNATI PER ILLEGITTIMO UTILIZZO DI PRESUNZIONI – INFONDATEZZA NEL MERITO DEGLI STESSI.

A pag.1 di 5, degli accertamenti si legge che l’Ufficio ha emesso gli accertamenti in base a presunzioni semplici, ai sensi dell’art. 73, comma 3, del D. Lgs. 507/93.

Dice l’art. 2729 del C.C. che le presunzioni devono essere gravi, precise e concordanti.

La struttura dell’accertamento può originarsi da presunzioni, ma queste devono essere gravi, precise e concordanti, tutti elementi questi che non si riscontrono nel caso in esame. Sarebbe bastato all’accertatore considerare attentamente il tipo di attività svolta dalla ricorrente, la natura dei rifiuti, e le notizie comunque raccolte dal legale rappresentante xxxxxxxx perchè non procedesse all’emissione degli avvisi per mancanza dei presupposti di fatto e le ragioni giuridiche.

L’infondatezza della pretesa, infatti, si manifesta del tutto palese con riferimento all’accertamento n. 513/2005,  tra l’altro, il più rilevanmte sotto il profilo dell’esorbitante tassa richiesta ( 43.820,94 euro), il quale indica in mq. 6134 l’area scoperta dell’opificio tassabile, tant’è che è richiesta la somma di euro 3.803,08 per anno e la indica come area scoperta adibita ad attività produttiva.

Le modalità operative a cui si sono ispirati gli accertatori sono qualificate assurde, infedeli rispetto alla comune prassi, tanto che i conseguenti  effetti pratici, antigiuridici, ledono pesantemente l’autonomia patrimoiale del soggetto passivo della tassa.

E’ falso quanto scritto dall’Ufficio, poichè, come già riferito, la società da anni in crisi e ridimensionata, si ritrova oggi tutta la superficie non utilizzata, motivo per il quale non può definirsi produttiva. L’area scoperta per definizione è una zona di disimpegno, di parcheggio auto, di deposito, di transito, di inutilizzabilità, e certamente non può concorrere alla determinazione della base imponibile nè per intero, nè in parte.

Insomma, l’Ufficio Tributi del Comune agisce sulla scorta di una non precisata presunzione ( affermata ma non provata), mentre la legge richiede il concorso di una pluralità di presunzioni e per di più la loro gravità, precisione e concordanza. Il Comune agisce  persino in violazione delle proprie  norme adottate ed infatti, all’art. 6 del Regolamento Comunale sulla Tarsu, comma 3 bis, è detto “ sono escluse dalla tassazione le aree scoperte e pertinenziali o accessorie, sia di civile abitazione che di locali diversi dalle abitazioni, che non siano aree operative”. 

Si ribadisce che la xxxxxxxxxxxx non ha, nè produce alcun rifiuto da smaltire attraverso il servizio della raccolta rifiuti urbani.

L’Ente impositore non può agire indiscriminatamente e senza l’osservanza delle norme dettate in materia solo perchè una norma gli attribuisce, in determinate e specifiche circostanze, la facoltà di prescindere dalle scritture contabili e di avvalersi di presunzioni semplici, perchè il proprio operato dovrà e sarà comunque soggetto al controllo dell’Autorità Giudiziaria.

7)  INFONDATEZZA DEGLI AVVISI DI ACCERTAMENTO

L’esposizione in fatto e diritto del caso in esame mette in evidenza che la pretesa del Comune di Giovinazzo delle somme indicate negli avvisi di accertamento è nettamente infondata poichè il tributo tarsu non trova nella controparte il destinatario capace di individuarsi soggetto ed oggetto del tributo stesso. Gli avvisi impugnati, con i numerosi aspetti negativi evidenziati, sono  infondati, illegittimi per costante violazione di norme tributarie e non provati dai fatti e ragioni giuridiche; essi si configurano invalidi ai fini della pretesa erariale cui sono destinati.

8) ECCEZIONE DI NULLITA’ DEGLI AVVISI IMPUGNATI PER MANCATO ASSOLVIMENTO DELL’ONERE DELLA PROVA IN VIOLAZIONE DELL’ART. 2697 C.C.- 

E’ principio indiscusso che spetta al soggetto attivo della pretesa l’onere di fornire prova e giustificazione.  In tal senso si è espressa anche la Suprema Corte di Cassazione, la quale con la Sentenza n. 3083 del 17.3.1995, richiamandosi al proprio precedente consolidato orientamento ha statuito che l’onere della prova della pretesa impositiva incombe sull’Amministrazione Finanziaria, attore in senso sostanziale. Nello stesso senso, per la giurisprudenza di legittimità, Cfr. Cassazione Sentenza n. 11 del 3.1.1997; Cassazione Sentenza n. 10812 del 4.12.1996; Cassazione Sentenza n. 1312 del 20.2.1996; Cassazione Sentenza n. 8995 del 25.8.1995; Cassazione Sentenza n. 8685 del 16.8.1993.

L’Ufficio tributi del Comune di Giovinazzo non può sottrarsi a questo principio generale di diritto sostanziale, posto a garanzia della chiarezza dei rapporti tributari, che in quanto patrimoniali, incidono profondamente nella sfera delle libertà Costituzionalmente garantite.

Invero, nel campo del contenzioso tributario l’Ente impositore cui, si ripete, compete l’onere della prova, non può perseguire il cittadino contribuente sul terreno del probabile, anzi dell’inesistente obbligazione.

E’, infatti, la sua posizione di attore in senso sostanziale, che comporta l’onere dello stesso di dimostrare il fondamento della propria pretesa.

L’art. 2697 c.c. si propone fondamentalmente il solo fine di ripartire tra le parti interessate l’iniziativa e l’onere della prova, accogliendo quale base una contrapposizione tecnica di categorie fattuali, ricavate dal rapporto dialettico tra azione ed eccezione.

Infatti, tralasciando l’indubbio stimolo ad agire, che l’art. 2697 c.c. esercita nei confronti dell’onerato, esso ha il merito di porre alla ribalta la funzione primaria della norma e conferirle un preciso aspetto pubblicistico, in quanto impedisce al Giudice di esimersi dal pronunciare sotto il pretesto del mancato accertamento del fatto.

Il punto focale, su cui convengono le linee maestre di questa regola, è dunque la necessità giuridico-pratica di salvaguardare il bene fondamentale della certezza, disattendendo il quale, s’integrerebbe un sostanziale diniego della giustizia, violando il principio della legalità, cardine del sistema. La funzione, pertanto, è quella di porre il Giudice nella condizione di pronunciarsi in ogni caso, anche quando egli non sia in grado di formare del tutto il proprio convincimento circa l’esistenza di fatti rilevanti. In tal caso, infatti, l’incertezza obiettiva, residuata al termine del giudizio, sarà risolta in danno della parte cui incombeva l’onere di fornire la certezza e che tale onere non ha adempiuto.  In coerenza, nel pronunciare una Sentenza, il Giudice non da per verificati i fatti rimasti ignoti, ma implicitamente li considera e dichiara come inesistenti, in quanto non sono stati sufficientemente provati da chi ne aveva l’interesse e l’onere.

Pertanto, ove una pretesa tributaria si fondi, come in fattispecie, su fatti indimostrati per difetto di prova da parte del soggetto onerato ( l’Ufficio tributi), il Giudice dovrà necessariamente considerare gli stessi fatti inesistenti e, per l’effetto, annullare gli accertamenti.

A sostegno della richiesta totale intassabilità per mancanza dei presupposti soggettivi ed oggettivi, la ricorrente documenta e prova le proprie ragioni attraverso la piantina planimetrica dell’opificio e delle numerose fotografie che si allegano.

9) ECCEZIONE DI NULLITA’ DEGLI ATTI IMPUGNATI PER L’ILLEGITTIMITA’, L’INFONDATEZZA E/O L’INAPPLICABILITA’ DELLE SANZIONI IRROGATE

Stante l’assoluta illegittimità ed infondatezza dei tre avvisi di accertamento  impugnati, consegue che nessuna pena pecuniaria può essere concretamente irrogata.  Senza pregiudizio alcuno per quanto superiormente eccepito, si rileva che è errato l’ammontare delle sanzioni determinate dall’Ufficio in violazione del sistema sanzionatorio di cui ai D. Lgs. Nn. 471, 472 e 473 del 1997, relative agli istituti della continuazione e/o del cumulo.

Di tutti questi elementi si chiede ai Signori Giudici aditi di tener conto al fine di annullare gli avvisi di accertamento impugnati.

P. Q. M.

Il sottoscritto propone a Codesta On. le Commissione il presente ricorso, per porre in essere il procedimento di cognizione di cui al Decreto Legislativo 31/12/1992, n.546 e s.m. e per chiedere alla stessa, la pronunzia di apposita Sentenza, con la quale:

A)    In via pregiudiziale:

la nullità degli atti impugnati per inesistenza giuridica della notifica.

B) ‑ in via principale:

  • dichiari la nullità degli avvisi di accertamento emanati dall’Ufficio tributi alla xxxxxxxxx per la falsa ed illegittima applicazione degli artt. 58, 59, 62 e 67 del D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, e violazione dell’art. 3 Legge 7.8.1990, n.241 ed dell’art. 7 L. 27.7.2000, n. 212, per mancanza assoluta di motivazione e prova;
  • dichiari la nullità degli atti impugnati per mancato assolvimwento dell’onere della prova in violazione all’art. 2697 del C.C.;
  • dichiari non dovute le sanzioni pecuniarie per inesistenza di violazione alle norme tributarie ed autore della stessa;

C) – in via subordinata:

dichiari l’annullamento degli atti impugnati per illegittimità ed  infondatezza dei dati assunti e delle presunzioni semplici  operate, dei calcoli e delle tariffe applicate.

D) – Condannare Il Comune, in caso di soccombenza, alla rifusione delle spese del giudizio, come previsto dall’art.15 del Decreto Legislativo 31/12/1992, n.546, la cui relativa nota si fa riserva di produrla procedimento durante ed in termine utile.

Per i motivi spiegati in questo atto di ricorso, l’Ufficio Tributi del Comune di Giovinazzo è invitato a non effettuare alcuna iscrizione a ruolo e, nell’ambito dei suoi poteri di autotutela, ad annullare gli accertamenti.

Il presente ricorso è redatto in duplice esemplare con l’originale in bollo da notificarsi mediante presentazione all’Ufficio Tributi del Comune di Giovinazzo e la copia, che la parte dichiara conforme all’originale, a mente dell’art.22 del D.Lgs n.546/1992 sarà depositata, entro il termine di trenta giorni, presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Bari.

RICHIESTA DI PUBBLICA UDIENZA

Lo scrivente rag. Tonio Detomaso , nell’interesse del proprio assistito ritiene che la particolare articolazione assunta dalla questione, posta all’attenzione dell’Organo Giudicante, renda necessaria la discussione orale. Si chiede, pertanto, ai sensi dell’art. 33, D. L.vo 31 dicembre 1992, n,546, che Codesta spettabile Commissione Tributaria voglia ammettere all’udienza di cui sopra la discussione in pubblica udienza.

Si fa riserva di produzione di ulteriori documenti e di presentazione di memorie e si allega il fascicolo di parte con i seguenti documenti:

–  copia del ricorso;

–  fotocopia della ricevuta di deposito o spedizione dell’originale del presente ricorso presso l’Ufficio Tributi del Comune di Giovinazzo;

–  n. 3 fotocopie dei tre avvisi di accertamento nn.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx 2005, emessi in data 10.10.2005;

–         n. 5 fotocopie dei bilanci completi esercizi 2000-2001-2002-2003-2004;

–         fotocopia del Regolamento Comunale per la Tarsu parte citata nel presente ricorso;

–         n. 20 Fotografie esterno stabilimento;

–         n. 16 fotografie interno opificio;

–         n. 1 fotografia strada statale cassonetto;

–         n. 1 piantina planimetrica;

–         n. 1 copia libro matricola;

–         n. 1 copia certificato C.C.I.A.A.

Putignano, 31.1.2006                                                               Con Osservanza

Rag. Tonio Detomaso , difensore tecnico

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ATTESTAZIONE DI CONFORMITA ‘

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