Ricorso avverso accertamento da studi di settore

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ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI B A R I

Oggetto: ANNO 2004 – IMPOSTE  IRPEF –– IRAP – IVA da  STUDI DI SETTORE.  

RICORSO avverso l’ Avviso di Accertamento n. xxxxxx per l’anno 2004, prot. n. xxxxx del xxx, atto notificato
in Putignano il xxxxx, raccomandata n. xxxxx, emesso dall’AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI xxxxxx.

Contro:
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI xxxxx.

ricorrente: xxxxxxxxxxxxxxxxxxx, nato
a xxxxxxx il xxx ed ivi domiciliato in Via xxxxxxxxxxxxxxx, C.F. xxxxxxxxxxxxx,
amministratore di condominio;

e per
suo nome e conto, il difensore tecnico abilitato
:

Rag. Tonio Detomaso,
nato a Putignano (Ba) il 4.9.1947, con studio alla Via G.
Pascoli, n.27/a, 70017 Putignano (Ba), Cod. Fisc.

DTM TNO 47P04 H096B, giusta procura alle liti,  rilasciata a margine del presente atto di ricorso, a cura

dello  stesso ricorrente xxxxxxxxxxxxe.

 CON LA RICHIESTA

A)  DI TRATTAZIONE DELLA CAUSA IN PUBBLICA UDIENZA, AI SENSI DELL’ART. 33, 1° COMMA
DEL D.LGS. n.546/92. 

B) DI ESERCIZIO DI OGNI POTERE ISTRUTTORIO, OVE OCCORRA, ESSENDO LA CONTROVERSIA FORIERA DI ASPETTI COGNITIVI DEL
TUTTO PARTICOLARI, NELLA PROSPETTAZIONE DELLA RATIO DI BISOGNO E DI
ASSENTIMENTO DELL’ART.7 DEL D.LGS. N.546/1992;

C)  ALL’UFFICIO  DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE AVVISANTE, DI ANNULLAMENTO DELL’ OPPOSTO AVVISO,
MEDIANTE L’APPLICAZIONE DELL’ISTITUTO DELL’AUTOTUTELA, AI SENSI DELL’ART. 68
DEL D.P.R.  287/92 E DELL’ART.2 QUATER  DEL D.L. 30.09.1994, IN LEGGE 30.11.1994, N.656 E DELLE DIRETTIVE APPLICATIVE
E  REGOLAMENTARI DETTATE DALLE  ISTITUZIONI GERARCHICHE SOVRAORDINATE.

Il sottoscritto difensore rag. Tonio Detomaso, libero  professionista in Putignano (Ba), ha ricevuto mandato difensivo dal Sig. xxxxxxxxx,xx
essendogli giunto a notifica il xxxxxxxx l’ avviso d’accertamento n. xxxxxxx/2009  (Prot. n. xxxxxxxx del xxxxxxx), emesso
dall’AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DIxxxxxxxxxxxxxxxxx .

Egli in esecuzione del mandato difensivo ricevuto, ha  riscontrato la totale infondatezza ed illegittimità del citato avviso
d’accertamento, pertanto, ai sensi dell’art. 18 e seguenti del D. Lgs.  31.12.1992, n. 546 e s.m.,

RICORRE

A  Codesta On.le Commissione Tributaria Provinciale, quale Giudice a quo, affinchè  eserciti la relativa cognizione e decida la controversia ai sensi dell’art. 36  dello stesso D. Lgs. N. 546/1992.

MOTIVI DEL
RICORSO

IN FATTO

1)  Il 25  giugno 2007 due Funzionari dell’Agenzia delle Entrate di xxxxxx iniziavano nei confronti del ricorrente xxxxxxxxxle la verifica per l’anno in corso (2007) ed  il controllo per il periodo d’imposta 2004 ai fini degli Studi di settore,  giusta autorizzazione prot. xxxxxx del xxxxxxxx (all.5) a firma del  Direttore dell’Ufficio di xxxxxxxxxxxxxx. La verifica iniziava il giorno 25 e  si concludeva il 28 del mese di xxxx 2007, con la redazione dei relativi  verbali giornalieri. Il giorno 29.06.2007 veniva redatto il Processo Verbale di  Constatazione (all.1).

2)  Dal  verbale di constatazione, in sintesi, si apprezzano i seguenti elementi di  sintesi comprovanti la corretta tenuta delle scritture contabili e la
corrispondenza dei dati dichiarati con la documentazione contabile
:

  • Pag.  4- “ Per quanto concerne l’esame formale  relativo all’anno in corso, si rileva che dall’eseguito controllo in ordine  alla regolare istituzione ed aggiornamento delle scritture contabili, non  emergono situazioni che potrebbero essere sanzionate”. Pag.  5- “ Considerato che la ditta xxxxxxxxxx,  con riferimento alle due attività esercitate ( amministrazione e gestione di  beni immobili per conto terzi di cui al codice 70320 e Agenzia di mediazione  immobiliare di cui al codice 70310), risulta essere assoggettata agli Studi di Settore,  i verbalizzanti hanno acquisito i modelli dei dati rilevanti ai fini  dell’applicazione degli studi di settore forniti dalla parte e, dopo aver  constatato la veridicità dei dati extracontabili e dei dati contabili inseriti  negli stessi, hanno rilevato l’esito del calcolo…”

3)  Il 18  dicembre 2009 è stato notificato l’accertamento impugnato con il quale  l’Agenzia di xxxxxxxxxxx, con riferimento all’attività di amministratore di  condominii, per l’anno 2004, accerta maggiori  ricavi pari ad € xxxxx.444,00 e chiede il pagamento delle seguenti  somme:

IRPEF                                                                           €     xxxxxx40,00

ADDIZIONALE REGIONALE                                    €
xx0,00

ADDIZIONALE COMUNALE                                    €         xxx,00

IRAP                                                                            €
xx xxxxx,00

IVA                                                                              €
xxxxx,00

SANZIONE AMMINISTRATIVA                              €
xxxxx,00

INTERESSI                                                                  €       xxxxx

L’Ufficio eleva il reddito di lavoro autonomo (amministratore di  condominii) da  € xxxx6,00 ad € xx020,00,  mentre lascia invariato il reddito d’impresa dichiarato pari ad € xxxx448,00 ( per l’attività svolta di intermediazione immobiliare) e pertanto il reddito  complessivo per l’anno 2004 da € xxxx.241,00 passa ad € xxxx5,00.

***.     IN  DIRITTO      .***

  • DIFETTO ED  INVALIDA MOTIVAZIONE DELL’ ATTO DI ACCERTAMENTO. ILLEGITTIMA APPLICAZIONE DEGLI
    STUDI DI SETTORE –  NULLITA’.  
         

L’Ufficio dà  atto che il Processo Verbale di constatazione del xxxxxx007 ( e non 2009!.) fa  parte integrante dell’accertamento impugnato, anzi è fondamentale e se ne  rivendica l’integrazione in quanto dall’accertamento si evidenzia la totale  discrasia della motivazione tra PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE E ATTO DI  ACCERTAMENTO, atti disposti a due anni di distanza l’uno dall’altro ed infatti:

1.  La motivazione riportata a pag.3- 4° CPV- “…  I verificatori, relativamente alla … fino a Pertanto si ha:”  è  difforme e non corrispondente al vero, è diversa rispetto a quella riportata  alla pag. 6 del PVC.  L’Ufficio scrive  che “ poichè a partire dall’anno 2004 (è  esatto invece il 1994) l’Autorità Garante  della concorrenza ha vietato l’emanazione di tariffari in materia di  amministrazione condominiale, è stato preso in considerazione un tariffario   adottato (non esattamente in quanto trattasi di “ semplice intesa”) dagli aderenti Putignanesi all’ANACI,  associazione di categoria maggiormente rappresentativa su scala nazionale. Il  tariffario del maggio 2003 è stato preso come riferimento in  quanto è il risultato di accordi presi in ambito locale, in base ad esigenze  ricadenti nella realtà del Comune di Putignano. I verbalizzanti hanno  fatto riferimento ad un ambito più ampio, legato alla realtà nazionale degli  studi di settore, in considerazione del fatto che il professionista nel  2004 amministrava anche condominii di grande pregio ed importanza, come xxxxxxe  di via xxxxxxxxxxx, comprendente circa 434 appartamenti, più box e negozi”.

Per  l’esattezza il condominio di “ pregio” era solo quello dell’Exxxxx e non  molti altri come lascia intendere il verificatore; tra l’altro il citato
condominio è stato amministrato per tre anni, fino al 2007.

Dal PVC ,  invece, a pag. 6, punto 2),  emerge che:

4° rigo  “ A partire dall’anno 1994 (e non  2004)  l’Autorità Garante della  Concorrenza ha vietato…;

rigo “ A titolo puramente  indicativo si segnala che, sulla base di un tariffario adottato dagli  aderenti Putignanesi all’ANACI, associazione di categoria maggiormente  rappresentativa su scala nazionale, le prestazioni dell’amministratore sono  generalmente distinte in ordinarie e straordinarie”.

  • 19°  rigo “ Tale tariffario del maggio  2003, che si acquisisce agli atti, è stato preso in considerazione dai  verbalizzanti semplicemente come riferimento, in quanto lo stesso è il risultato di accordi presi in ambito locale,  in base a criteri ed esigenze ricadenti nella realtà di Putignano.

Pertanto,  nel calcolo, alcuni valori di riferimento si discosteranno da quelli minimi in  quanto gli stessi verbalizzanti hanno fatto riferimento ad un ambito più ampio,  legato alla realtà nazionale degli studi di settore, considerando comunque che  il professionista nel 2004 amministrava anche condominii di grande pregio ed  importanza, come per esempio l’xxxxxx di via xxxxxxin Bari, comprendente circa  434 appartamenti, più vari box e negozi”.       

Dunque due  atti dell’Ufficio, uno prende in considerazione semplicemente come  riferimento il tariffario 2003  ma di  fatto, nel calcolo, applica  un  riferimento ad un ambito più ampio, legato alla realtà nazionale degli studi di  settore, l’altro prende in considerazione un tariffario adottato dagli  aderenti all’ANACI, ma di fatto fa anche riferimento ad un ambito più ampio  legato alla realtà nazionale degli studi di settore.

Non vi è alcun  dubbio che l’operato dell’Ufficio è confuso, arbitrario, discrezionale,  opportunistico e privo di riscontro dell’effettiva e concreta

adozione da parte  degli amministratori di Putignano di quel “tariffario” del maggio 2003 e quindi  illegittimo, ma è anche nel contempo chiaro che intende pervenire, in un modo  qualsiasi ed a tutti i costi, volendo giustificare la missione, al risultato degli  studi di settore, ovvero ad € xxxxxxx0; e di fatto l’accertatore dice che  i maggiori ricavi sono € xxxxxxx, dati da e xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx0, pag. 4  dell’accertamento. Quest’ultimo risultato è il prodotto delle unità immobiliare  gestite ( corrispondenti esattamente a quanto indicato dal contribuente nel  modello studi di settore allegato alla dichiarazione dei redditi 2004)  moltiplicate per i compensi che, secondo  l’Ufficio, il contribuente avrebbe dovuto applicare, ma che nella  realtà il soggetto NON HA MAI  APPLICATO per un quintale di ragioni, ma fra tutti perchè  l’intesa non vincola alcunchè per nessuno.

Certamente gli  onorari applicati, lo dicono i verificatori, sono attinti da “ ambiti più  ampi legati alla realtà nazionale degli studi di settore”. Così nascono le  favole!.  

Non si capisce  che un “ foglio di carta intestato tariffario” contenente indicazioni di possibili, auspicabili tariffe, ma senza la previsione di espresse clausole  contrattuali vincolanti, NON HA ALCUN VALORE GIURIDICO,  anche perchè, se adottate, avrebbero violato  le direttive dell’Autorità Garante della Concorrenza.

Vanno fatte a  proposito tre importanti considerazioni:

a)       I compensi  sono stati elaborati, inventati dai verificatori perchè non corrispondono nè a quelli effettivamente applicati dal contribuente, nè al famigerato tariffario, nè  ad altri dati di qualsiasi fonti ;

b)      I compensi per l’attività di amministratore sono  liberi e si determinano secondo il mercato e la classica concorrenza;

c)      I verificatori pur avendo riscontrato la corrispondenza  dei dati dichiarati e la corretta tenuta delle scritture contabili, sono andati  oltre giustificandosi con gli studi di settore, ma senza verificare  l’esistenza delle condizioni di legge ( che non c’erano), nè la loro applicabilità
in presenza dei presupposti per motivare il risultato da studi di settore.

In merito alla  questione tariffario si chiarisce che nell’anno 1996 alcuni amministratori di  condominio di Putignano si riunirono per tentare di redigere un tariffario da adottare,  da quella data in poi, da parte degli stessi comparenti (all.2). In  detta occasione furono ipotizzati alcuni compensi che, tuttavia, nessuno ha mai  applicato per ragioni di mercato, nè era obbligato a farlo. Nel maggio 2003 il  tariffario (all. 3) fu tradotto in euro a cura ed iniziativa di un  amministratore di condominii che ritenne di doverlo diramare ai colleghi, dopo  aver unilateralmente apportato ai compensi alcune variazioni. Il  suddetto “pezzo di carta” non aveva alcuna pretesa se non quella di aver reso  notizia ad altri e, per quanto a conoscenza del ricorrente, mai nessuno degli  amministratori di condominii locali ha applicato dette tariffe.

La  rappresentazione di cui innanzi è vera ed è quella che si chiede abbia valenza legale  poichè i numeri adottati dai verificatori per la “  ricostruzione indiretta  dei compensi, pag. 6 del PVC, sono stati decisi dai verificatori, senza il  supporto di dati certi e noti che potessero comporre le presunzioni semplici. L’Ufficio,  dal canto suo, ha assecondato il lavoro svolto dai verificatori, tentando di  rendere dati discrezionali, ipotizzati, in dati veri da assumere per la determinazione  di maggiori ricavi; quindi, qualunque criterio o metodo o procedura abbia usato
è infondato perchè non rispondente alla verità dei fatti. Per tutte si allega  plico (all. 4) composto da n.70 fotocopie di fatture emesse nei confronti dei  condominii con allegati rendiconti approvati in assemblea annuale, comprovanti  i reali corrispettivi conseguiti dal contribuente per l’anno 2004. L’operato  dell’Ufficio va disatteso per violazione dell’art. 62 sexies,  3° comma, del D.L. 30.08.1993, n. 331 conv. in Legge 29.10.1993 n. 427, il  quale prevede che “ Gli accertamenti di  cui agli articoli 39, primo comma, lett d), del decreto del Presidente della
Repubblica 29.09.1973, n.600, e successive modificazioni, e 54 del D.P.R.  26.10.1972, n. 633, e s.m., possono essere fondati anche sull’esistenza di
gravi incongruenze tra i ricavi
, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e  quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni
di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore 
elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del  presente decreto”. 

L’accertamento  da studi di settore, cioè quello fatto dall’Ufficio, passa obbligatoriamente  dall’art. 39, 1° comma, lett. D) del D.P.R. 29.09.1973, n. 600, per il quale, fermo  restando che l’applicazione dell’art. 39 è possibile solo se  l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella  dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture  contabili e dalle altre verifiche di cui all’art. 33 ovvero dal controllo della  completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta  delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa ( e nel caso in esame i verificatori danno atto  che il soggetto verificato non è sanzionabile perchè le scritture contabili
sono tenute correttamente, pag. 4 del PVS – all. 1)
nonchè dei dati e  delle notizie raccolti dall’Ufficio nei modi previsti dall’art. 32. L’esistenza
di attività non dichiarate o la inesistenza di passività è desumibile anche  sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e  concordanti.     
è  ormai principio consolidato che GLI STUDI DI SETTORE  SONO PRESUNZIONI SEMPLICI senza l’inversione dell’onere della prova a danno del  contribuente.GLI INDICATORI  DI NORMALITA’ ECONOMICA (INE) IN QUANTO COMPONENTI STRUTTURALI DEGLI STUDI DI  SETTORE SONO PRESUNZIONI SEMPLICI.

Quindi,  il fisco deve dimostrare e documentare le gravi incongruenze, ovvero gli scostamenti  anche a mezzo di presunzioni semplici purchè siano gravi, precise e  concordanti, senza alcuna inversione dell’onere della prova.

La  giurisprudenza di legittimità Corte di Cassazione –sez. Tributaria-sentenze n.  17229/06, n. 2380/06, n.9135/05, n.9946/03 e n. 13995/02, e di merito che si è  interessata della questione, ha ribadito che in tema di studi di settore le  presunzioni sono sempre semplici, senza l’inversione dell’onere della prova a  danno del contribuente e che bisogna preventivamente dimostrare le gravi
incongruenze, perché da soli gli studi di settore non possono avere alcuna  forza accertatrice.

L’AGENZIA DELLE  ENTRATE DIREZIOINE CENTRALE HA EMANATO IN TEMA DI PRESUNZIONI SEMPLICI LA  CIRCOLARE N.5 DI GENNAIO 2008, n.13/E/2009, LA NOTA INTERNA DEL  4 GIUGNO 2009, con cui chiarisce inequivocabilmente che negli studi di settore
la presunzione è semplice e che l’Ufficio deve sempre dare la prova
(che non può  essere la “ ricostruzione indiretta dei ricavi basata su dati (compensi)  ipotizzati, pag. 6 del PVC),  ovvero  senza neppure un dato certo.     LA CASSAZIONE HA FISSATO NELLO STUDIO  DELL’UFFICIO MASSIMARIO (RELAZIONE TEMATICA N. 94 DEL 9 LUGLIO 2009) 7 PUNTI  FERMI SUGLI STUDI DI SETTORE : QUANTO AL VALORE  DEGLI STUDI DI SETTORE- Viene esclusa la natura di presunzione legale degli studi. Il  dato testuale e il fatto che gli accertamenti siano mirati alla  determinazione  dei ricavi sono decisivi ai fini dell’inquadramento nell’ambito dell’art. 39,  comma 1, lettera d) del DPR 600/73, ( in base al quale, l’esistenza di attività  non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla  base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e  concordanti).   

Le  presunzioni gravi, precise e concordanti cui si riferisce la norma, non  sarebbero costituite dallo scostamento rispetto agli ” standards”, in sé
considerato, ma andrebbero individuate di volta in volta nel caso concreto,  soltanto all’esito del contraddittorio con il contribuente, in relazione alle  eventuali giustificazioni addotte e al comportamento da lui tenuto. Ma  allora a quali presunzioni i verificatori si riferiscono ?.

Nel  caso in esame l’Ufficio ha svolto attività di verifica sul campo, direttamente,  riscontrando la veridicità, l’esattezza dei dati e delle registrazioni
contabili;
in situazione di normalità l’attività dell’ufficio non doveva proseguire concludendosi con  l’emissione dell’accertamento qui impugnato. L’Ufficio ha clamorosamente fatto “autogol”, ovvero, le modalità  operative attuate e l’attestazione negativa del controllo fatto hanno finito
col divenire prova, per il soggetto verificato, che nel caso in esame non  ricorrevano i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche  affinchè l’Ufficio potesse promuovere l’atto  di accertamento e tanto meno affinchè lo stesso fosse ispirato e guidato dagli <studi  di settore >, per la cui procedibilità vigono condizioni preliminari e norme  che devono essere rispettate.

A fare definitiva chiarezza, interviene ora LA  CASSAZIONE, A SEZIONI UNITE,  con le Sentenze  nn. 26635-26636-26637-26638, depositate il  18.12.2009 .

Gli  studi di settore ed i parametri rappresentano un sistema di presunzioni  semplici che devono necessariamente essere personalizzate nell’ambito del  contraddittorio.

La  procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri  e degli studi di settore risulta basata su delle presunzioni semplici  <<la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in  relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in  esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente  >>.

Esito  del contraddittorio che poi deve far parte della motivazione dell’atto di  accertamento.

La  Corte rileva ulteriormente che gli studi di settore rappresentano una  elaborazione statistica il cui frutto è una ipotesi probabilistica che, come
tale, può solo costituire una presunzione semplice.

Va  rilevato che l’Agenzia delle Entrate, a partire dalla circolare n. 5/E del  23.1.2008, aveva già intrapreso un percorso di riconoscimento di quanto dice  oggi la Corte di Cassazione.

LA CASSAZIONE HA FISSATO NELLO STUDIO  DELL’UFFICIO MASSIMARIO (RELAZIONE TEMATICA N. 94 DEL 9 LUGLIO 2009) 7 PUNTI
FERMI SUGLI STUDI DI SETTORE :
LO SCOSTAMENTO  TRA IL DICHIARATO E LO STANDARD: l’accertamento non può fondarsi sul solo
scostamento tra quanto dichiarato e i livelli di congruità previsti in via  generalizzata dagli studi di settore, ma deve essere confortato da elementi
ulteriori. La questione se le risultanze degli studi di settore possano  sorreggere da sole l’accertamento rappresenta, alla stregua dell’evoluzione
giurisprudenziale, “ un falso problema”. E’ nel momento di incrocio tra i dati  previsti in via generale e la realtà concreta del contribuente, che si deve  concentrare l’analisi. Infatti, alle pagine 3 e 4 dell’accertamento i  compensi riportati non corrispondono affatto ad alcun “tariffario” che, si
specifica, trattasi di un’auspicabile intesa e quindi lungi dall’essere  vincolante. L’autorità Garante della Concorrenza, anzi, vieta  l’emanazione di tariffari in materia di amministrazione condominiale. L’intesa  di cui innanzi è una “ carta “ che non ha alcun valore contrattuale. Allora  quale analisi concreta hanno condotto i verificatori e l’Ufficio  successivamente ?. C’è almeno un amministratore operante nel Comune di Putignano
che applica le tariffe contenute nel tariffario?.      

2) Il vizio dell’atto amministrativo per  manifesta contraddittorietà si estende alla violazione di legge avendo  l’Ufficio disatteso di considerare, meglio falsamente applicato la legge, che  gli studi di settore sono presunzioni semplici e quindi vanno dimostrate e  provate rigorosamente con elementi riscontrabili, i quali non possono essere nè  altre presunzioni, nè lo scostamento tra i ricavi dichiarati dal contribuente e  quelli che risultano dagli studi di settore, nè l’applicazione di un pseudo  tariffario. D’altronde se l’Ufficio intende (decide) assumere certe scelte in
luogo di altre, ovvero non considera le risultanze reddituali  del contribuente e non rispetta le modalità  attuative della procedura degli studi di settore, deve quanto meno indicare i presupposti  di fatto ed le ragioni giuridiche affinchè sia comprensibile  anche il percorso logico.

IL CONTRIBUENTE NON  SA, NON CAPISCE IL PERCHE’ DI QUESTA CHIAMATA ERARIALE STRAORDINARIA.

La ricerca “ a  tutti i costi” di ricavi inesistenti da aggiungere a quelli dichiarati  dal contribuente è costume frequente del Fisco, ma a  volte, così non è ed è soggetta a censura di  illegittimità per abuso e violazione di regole e norme in materia di  accertamento.

3) Lavviso di accertamento va motivato sotto due profili concettualmente e  giuridicamente distinti: da un lato occorre giustificare l’esistenza dei
presupposti che legittimano l’accertamento induttivo,  dall’altro devono essere indicate le ragioni  che supportono i calcoli effettuati per la determinazione del maggior reddito.

L’obbligo di una adeguata motivazione degli atti  amministratrivi che incidono su situazioni giuridiche soggettive ( qualificabili vuoi come diritti soggettivi vuoi come interessi legittimi) del  contribuente, costituisce un principio generale del nostro Ordinamento  Giuridico, come tale applicabile anche nel sistema normativo tributario, nonchè  un principio di civiltà giuridica tendente a salvaguardare la fondamentale ed
insopprimibile esigenza di circondare la sfera patrimoniale del contribuente di  un adeguato strumento di garanzia, consentendo il controllo giurisdizionale dei  limiti legali del potere di imposizione ( così Cass.  10.1.1973, n.24, Corte Cost. 8.2.1966, n.7 e Cons. di Stato 30.4.1966) ed assicurare, quindi in ogni caso al  contribuente, di fronte alla pretesa tributaria una difesa adeguata delle  proprie ragioni ( Cass. 26.10.1988, n. 5783; 13.7.1989, n.3285; 20.11.1989, n. 4966).

Un sensibile rafforzamento della tutela della  posizione del contribuente discende dalla previsione dell’art.3 della Legge n.  241 del 1990 che ha generalizzato l’obbligo di motivazione di tutti i  provvedimenti amministrativi. Il comma 3 del citato art. 3 precisa che la  stessa motivazione deve estendersi ai presupposti di fatto ed alle ragioni  giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in  relazione alle risultanze dell’istruttoria, norma ripresa integralmente  nell’art. 7 della Legge 27.7.2000,n. 212 ( Lo Statuto del contribuente).

  • ERRATA INTERPRETAZIONE  DELLA GRAVE INCONGRUENZA VIOLAZIONE DELL’ART. 62 SEXIES DEL D.L. 331/93.

L’art.  62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n.331 in L. 29.10.1993, n. 427, in particolare, ha  previsto l’elaborazione degli studi di settore in relazione ai vari settori  economici di esercizio delle attività imprenditoriali e professionali “ al fine  di rendere più efficace l’azione accertatrice”. Ai sensi dell’articolo in  esame, gli studi sono strumenti elaborati dall’Amministrazione finanziaria,  secondo la procedura così articolata:

  • Identificazione di  campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori, che  presentano, cioè, caratteristiche aziendali simili;
  • Controllo di questi  campioni “allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività  esercitata”. Il
    non corretto uso della metodologia degli studi di settore, nella linea del  sistema garantista cui la Carta Costituzionale si ispira,  non soddisfa almeno per due argomenti
    :

per primo: la notifica di un avviso di accertamento ha  conseguenze in sè sanzionatorie, essa implica, infatti, un pregiudizio per il  contribuente, sopratutto economico, essendo l’atto suscettibile di diventare  definitivo e motivo dell’iscrizione a ruolo di una parte delle imposte  accertate;

per secondo: manca l’identificazione del campione di contribuenti,  economicamente coerenti, assunto per la formazione della “ base di  riferimento “, poichè nè la nota tecnica e metodologica, nè altre fonti  ufficiali forniscono chiarimenti sullo specifico punto. In via astratta o il
riferimento è a posizioni soggettive verificate mediante attività ispettive e  di riscontro ( ma anche tale ipotesi lascia pur sempre dei margini di
incertezza ) oppure l’enucleazione è scaturita dal confronto con indici di  produttività o di redditività forniti dalle categorie economiche interessate,  cioè di parte;

  • non sempre esistono correttivi territoriali, nè a  livello Regionale nè a livello di centro abitato in cui l’attività viene  esercitata. Ciò significa che in base agli studi di settore la stessa attività  commerciale o professionale al centro di Milano o in un paese ipotetico della  Puglia con meno di 1000 abitanti dovrebbe, produrre il medesimo fatturato e lo  stesso volume di compensi. La mancanza di certezza, quale indice di
    attendibilità, è conseguenza (dannosa) inevitabile delle procedure per valori  medi. Sarebbe davvero pretestuoso pretendere di raggiungere, per tale via,  risultati conseguibili esclusivamente con metodologie analitiche per cui, una  volta optato per uno schema sintetico-induttivo, occorre gioco forza accettare  anche possibili profili negativi quale inevitabile conseguenza del sistema  procedurale prescelto.

L’ANACI con un articolo apparso su Italia Oggi del 28.01.2009 (all.6),  in merito all’eterogeneità territoriale dell’attività di amministratore
ha bocciato lo studio di settore, individuando nel particolare settore elementi  economici difficilmente riconducibili ad un comune denominatore.

L’ultimo periodo dell’art. 62-bis stabilisce, infine: “  Gli studi di settore sono approvati con  Decreti del Ministero delle Finanze,
da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995 ( prorogato al  31.12.1998 dall’art.3, co. 124,  L. 23.12.1996, n. 662), possono essere soggetti a  revisione ed hanno validità ai fini dell’accertamento a decorrere dal  periodo di imposta 1995”( termine differito al 31.12.1998 ); risulta subito evidente l’incerta  affidabilità dello strumento statistico e sicuramente ogni volta che la stessa  Amminstrazione Finanziaria, per qualsiasi ragione, deve  revisionare uno o più studi di settore.   

L’art. 62-sexies, comma 3, dello  stesso Decreto, che rappresenta la norma di  riferimento in tema di accertamento  da studi di settore, stabilisce, invece, che gli  accertamenti (analitici-induttivi) di cui agli artt. 39, co.1, lett. d), del  D.P.R. 29.9.1973, n. 600 (imposte dirette) e 54 del D.P.R. 26.10.1972, n. 633  (IVA) “ possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi  incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi
dichiarati e quelli fondatamente  desumibili  dalle  caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività  svolta, ovvero dagli studi di  settore”.

Come si  vede, i comma 62 bis e 62 sexies rendono comprensibile la differenza tra  principio enunciativo (62 bis) e principio attuativo (62 sexies). Infatti, l’art.  62-sexies, comma 3, citato non ha previsto che la determinazione del reddito o dei ricavi avvenga sulla base  degli studi di settore, come invece è detto nelle disposizioni che disciplinano  i precedenti strumenti di accertamento quali “ Coefficienti art. 12 della  L. 154/89, Contributo diretto lavorativo – L. 427/93,  Redditometro – art. 38, 4 c D.P.R. 600/73,  Regime forf, Parametri art. 3 L.  549/95”, ma al contrario, lo studio di settore, viene investito  semplicemente della funzione di agevolare l’espletamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria della funzione  accertativa, permettendo alla stessa, in presenza di gravi  incongruenze, di procedere ad accertamento analitico-induttivo.
L’art. 62-sexies, comma 3, richiede espressamente, per legittimare l’accertamento (fondato), che si verifichi una grave  incongruenza tra i ricavi, i compensi dichiarati dal contribuente e quelli fondatamente  desumibili dagli studi di settore. Il legislatore, pertanto, non ha ritenuto sufficiente
il risultato degli studi di settore come fatto noto per determinare  acriticamente i risultati conseguiti dal contribuente, ma ha richiesto
ulteriormente la presenza di “ gravi incongruenze” tra questi ultimi e  gli studi di settore.

I  ricavi (determinati) ipotizzati dall’Ufficio per “ ricostruire  indirettamente” pag. 6 del PVC, rappresentano possibili, probabili,
auspicabili, ipotizzabili ricavi e MAI RICAVI  FONDATAMENTE DESUMIBILI DAGLI STUDI DI SETTORE, ne  consegue che in presenza di corretto comportamento amministrativo del  contribuente, ed in assenza di altri riscontri, l’ente impositore non avrebbe  titolo e ragione per creare “ un accertamento”.

Inoltre,  la grave incongruenza non può affatto essere rappresentata dallo stesso scostamento rispettto agli studi di settore.

Il solo  scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli derivanti dall’applicazione degli  studi non costituisce
di per sè la grave incongruenza
ma legittima  semplicemente l’Ufficio ad effettuare l’accertamento analitico-induttivo
di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/73, previa esaltazione  della consistenza della grave incongruenza, e ricorrendone le altre condizioni  di legge.   

La  Suprema Corteè andata oltre, chiarendo, in sostanza, che la mera difformità delle  percentuali di ricarico  applicate, rispetto a quelle emergenti da studi di settore, non legittima un  accertamento analitico-induttivo, ma occorre che le risultanze degli studi di  settore siano “ confortate da  altri indizi”. Va  detto che l’art. 10 della Legge n. 146/98 non  ha assolutamente modificato il quadro normativo di riferimento dal  momento che, disciplinando le “ modalità di attuazione degli studi di settore”,  trattasi di semplice norma  di attuazione  delle disposizioni contenute nell’art. 62-sexies del D.L. n. 331/93, il  quale è e rimane l’unica norma di riferimento in tema di accertamento da studi  di settore. L’art. 10 citato non incide in alcun modo sull’operatività di tale  requisito indefettibile, anche in forza del rinvio agli “accertamenti basati
sugli studi di settore di cui all’art. 62-sexies”, che presuppone la volontà  del legislatore di richiamare l’intero ambito di operatività di tale norma,
comprese le condizioni in essa contenute.

Ne  consegue che il presupposto per procedere ad un accertamento  analitico-induttivo fondato sugli studi di settore è, pertanto, soltanto
la sussistenza di una grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli  risultanti dall’applicazione degli studi; grave incongruenza che deve
sussistere
ancor prima di  procedere all’accertamento e che  l’Ufficio è comunque tenuto a dimostrare e ad indicare nel proprio
accertamento
, il quale non può essere, quindi fondato esclusivamente sulle risultanze degli studi di settore, né tanto meno su pseudo
tariffari
, pena l’illegittimità dello stesso per violazione  dell’art. 62-sexies D.L. n. 331/1993. Per il vero la dimostrazione della grave
incongruenza doveva essere prodotta dai verificatori i quali hanno trascorso  cinque giorni in azienda.

L’avviso  di accertamento emesso dall’Ufficio sulla base del predetto scostamento ed in  presenza di verifica ispettiva e PVC, ma senza la motivazione circa i  presupposti che hanno legittimato l’Ufficio a procedere all’accertamento, ovvero  nel mancato rispetto delle condizioni di procedibilità, è carente di motivazione, stante il disposto dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del  contribuente, Legge 27.7.2000, n.212, in base al quale tutti gli atti  dell’Amministrazione Finanziaria devono essere motivati, indicando i  presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione  dell’Amministrazione stessa. Quando  si legge che gli accertamenti di cui agli artt. 39, co. 1, lett.d), del D.P.R.
n. 600/73 e 54 del D.P.R. n. 633/72 “ possono  essere fondati  anche  sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i
corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili… dagli studi di  settore” significa che la legge ha inteso solo individuare una particolare
“fattispecie” suscettibile di accertamento analitico-induttivo, fermi restando le cautele ed i presupposti della citata lett. d) del primo comma dell’art. 39, del D.P.R. n. 600/73  e dell’art. 54 del decreto IVA.

In  altri termini, le divergenze ipotizzate tra risultati contabili e risultati  dello studio di settore non autorizzano
l’ufficio finanziario ad accertare a carico del contribuente un imponibile pari  o diverso al risultato dell’elaborazione statistica
ma, viceversa, autorizzano l’Ufficio (solo) ad adottare i criteri di accertamento indicati nella predetta lettera d), con  l’obbligo di confrontare ( e supportare) il risultato dello studio con  presunzioni gravi, precise e concordanti, nella considerazione che lo studio non esprime ricavi/compensi
“effettivi” ma solo “ragionevoli” in condizioni ordinarie ( l’ordinarietà  operativa dell’azienda va ricercata sempre e valutata in tutti gli aspetti
tipici e caratteristici della stessa, non esclusi quelli finanziari a breve e  medio termine).

E’ in  questa direzione che l’Ufficio, una volta verificato che gli elementi dello  studio di settore siano corretti numericamente ( e lo ha fatto durante la  verifica in campo), deve dapprima dotarsi della motivazione e della prova per  poi procedere alla  determinazione
dei maggiori ricavi; solo per questa via “ prova-accertamento-determinazione “
si accredita il giusto ed equo procedimento sia per l’Erario che per il  cittadino contribuente.

I  verificatori prima e l’Ufficio successivamente hanno violato le norme  tributarie.

FALSA ED  ERRONEA APPLICAZIONE DELL’ART. 39, COMMA 1 LETT. d) D.P.R. N.600/73 E ART 55  D.P.R. 633/72.

La  norma base è l’art. 62-sexies del D.L. 331/1993, il quale dispone che gli  accertamenti analitico-induttivi ( art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R.
600/73)  possono essere fondati anche  sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli  fondatamente desumibili dalle caratterisitche e dalle condizioni di esercizio  della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore. La norma  richiama gli accertamenti disciplinati all’articolo 39, comma 1, lettera d) del  D.P.R. 600/1973, che possono essere effettuati sulla base di presunzioni
semplici, purchè queste risultino gravi, precise e concordanti
. Già  questo dato è sufficiente per affermare che gli studi di settore sono presunzioni  semplici e mai legali; posizione ormai ribadita più volte dalla stessa  Direzione Generale dell’Agenzia delle Entrate e dalla sancita copiosa  Giurisprudenza.

LA  CASSAZIONE SEZIONI UNITE, con il deposito del 18.12.2009 delle  Sentenze n.26635-26636-26637-26638  ha definitivamente stabilito che gli studi di  settore ed i parametri rappresentano un sistema di presunzioni semplici che  devono necessariamente essere personalizzate nell’ambito del contraddittorio ( nel  caso in esame il contraddittorio è durato ben cinque giorni, cioè tutto il  periodo della verifica, ed alla fine nessun nuovo elemento è emerso dal  controllo di migliaia di documenti).

La  procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri  e degli studi di settore risulta basata su delle presunzioni semplici  <<la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in  relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in  esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente  >>.

A  suggellare il principio, la Corte rileva ulteriormente che gli studi di settore  rappresentano una elaborazione statistica il cui frutto è una ipotesi probabilistica  che, come tale, può solo costituire una presunzione semplice.

Va  rilevato che l’Agenzia delle Entrate, a partire dalla circolare n. 5/E del  23.1.2008, ha già intrapreso un percorso di riconoscimento di quanto dice oggi  la Corte di Cassazione. Già con la  “ Sentenza  2891/2002  della Corte di Cassazione “ fu precisato che per legittimare un
accertamento di tipo analitico-induttivo non era sufficiente la mera  applicazione matematica degli studi, ma occorreva che le loro risultanze fossero  confortate da altri indizi. Dello stesso avviso sono state le Commissioni  Tributarie Provinciali (Macerata, Milano, Lucca), fino ad arrivare alle più  recenti della CTR Puglia,  Sentenza 19.5.2006, n.42/1/06, CTR Lazio, Sent. 64/06/08 del 10.4.2008.

Nessun strumento induttivo, siano essi i parametri o  gli studi di settore, può obbligare il contribuente a dichiarare più di quanto
effettivamente incassa, nè laddove la norma consente di prescindere in tutto o  in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili e di
avvalersi anche di presunzioni prive di “ gravità, precisione e concordanza”,  deve essere pur sempre interpretata come norma volta a determinare la capacità  contributiva del singolo contribuente sulla base di argomentazioni logicamente  attendibili, non già a consentire che tali particolari modalità accertative   siano utilizzate per determinazioni non accurate o addirittura per punire il  contribuente.

A parere dello scrivente si registra la violazione di  legge, atteso che il risultato da studi di settore, quale conseguenza di indizi
costituenti assiomi del ragionamento deduttivo applicato per arrivare alle presunzioni  semplici, è stato ritenuto erroneamente quale “ ricavo determinato” – “ certo”  , non bisognoso di alcuna prova, pur avendo proceduto alla ricostruzione  indiretta dei ricavi impiegando numeri di ignota provenienza, pur di pervenire  al risultato uguale o prossimo a quello degli studi di settore, in violazione  di quanto disposto dall’art. 62 sexies del D.L. 30.08.1993, n. 331, che rinvia  all’art. 39 del D.P.R. 29.09.1973, n. 600, ed ignorando il disposto della lett.  d), 1° comma, dell’art. 39/600, quando richiede che l’esistenza di attività  non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche  sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e  concordanti, senza aver seguito il percorso precedente che richiede
l’accertamento preliminare delle fasi:

  • Dimostrazione della grave incongruenza;
  • Dimostrazione dello scostamento tra ricavi  dichiarati e quelli da studi di settore;
  • Dimostrazione dell’incompletezza, la falsità o  l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione dei redditi;
  • La verifica delle presunzioni semplici.

Tutto questa attività non è stata fatta, nè serviva  farla in quanto i verificatori avevano da subito  attestato la correttezza del soggetto sotto
ogni profilo contabile e reddituale da sottoporre a prelievo fiscale.

  • INCOMPATIBILITA’  DELLO STRUMENTO STUDI DI SETTORE CON IL SISTEMA DI ACCERTAMENTO ACCOLTO DAL  LEGISLATORE DELLA RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1971.
  • Il sistema di accertamento del reddito e del  volume dei ricavi per gli imprenditori commerciali e gli esercenti arti e  professioni, quale emerge dal tessuto normativo della riforma tributaria del  1971, appare caratterizzato:

a)  dall’estensione di obblighi formali, di carattere  strumentale rispetto al prelievo, a tutti i soggetti rientranti nelle citate  categorie;

b)  dalla molteplicità di tali obblighi e dalla rigidità  della loro disciplina, al fine di pervenire a dati numerici precisi;

c)  dalla previsione di sanzioni elevate in caso di  violazioni di obblighi formali allo scopo di assicurare il loro adempimento,  considerato essenziale ai fini dell’accertamento;

d)  dall’attribuzione di rilevanza preminente alla  regolare tenuta della contabilità, sì da potersi ritenere che essa fa prova  a favore del contribuente;

e)  dalla  circostanza che, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito o di un  maggior volume d’affari rispetto ai dati dichiarati, incombe sul Fisco l’onere  di fornire le prove in contrasto con le risultanze contabili.

Se tale  è il sistema di accertamento voluto dal legislatore della riforma del 1971, il  meccanismo degli studi di settore si presenta come un corpo estraneo,  inconciliabile con la logica che ha ispirato le norme emanate negli anni 1972/1973, tuttora  vigenti nel loro impianto originario, ovvero IL LEGISLATORE NON NE HA ANCORA  DECRETATO IL CLASSAMENTO A CARTA STRACCIA..

  • VIOLAZIONE  DELL’ ONERE DELLA PROVA
  • Trattandosi di presunzioni  semplici, la prova resta a carico dell’Ufficio, il quale nell’operare dovrà  assumere fatti noti.  La
    determinazione dei ricavi sarà la conseguenza, ragionevolmente possibile e  verosimile, della considerazione degli ulteriori elementi rapportati  all’applicazione delle tabelle, calcoli degli studi di settore.   L’Ufficio, invero, lo deve dimostrare con le
    normali regole delle presunzioni ( CC 8 apr.2004/5899; CC 24.2.2004/3646; CC  9.2.2004/2431), considerato, altresì, che il risultato del procedimento induttivo  è pur sempre una presunzione che deve avere tutti i requisiti di gravità,  precisione e concordanza che le conferiscano la forza di una prova (CTP di Bari, sez. I, 25.7.2005, n. 115, CTR  di Bari  Sez. VIII, 19.10.2005, n.85, CTR
    di Bari Sez. III, 8.9.2005, n.80 e CTR Lazio Sent. 64/06/08 del 10.4.2008
    ).

L’avviso di accertamento impugnato non  soddisfa l’aspetto probatorio in quanto solo formalmente motivato; per contro
il ricorrente ha tenuto un corretto e giusto comportamento amministrativo e  fiscale nel gestire la propria attività, sottoponendo a tassazione i
corrispettivi percepiti in ottemperanza delle norme tributarie vigenti e conformemente  alla copiosa, articolata, illuminante e completa Giurisprudenza che copre tutti  gli aspetti e profili giuridici degli studi di settore. Egli completa il  percorso probatorio, offrendo all’On.le Collegio Giudicante n. 70 fotocopie di  fatture emesse per l’anno 2004 nei confronti dei  condominii, complete dei verbali di assemblea  per l’approvazione annuale dei bilanci di esercizio, dal cui esame si rileva  che:

  • La somma delle  fatture emesse (volume ai fini IVA) è di € xxxxxx e corrisponde esattamente al  rigo VE 22 del Quadro VE-VF dell’Unico 2004 (all.7), mentre i compensi assunti  col criterio di cassa ammontano ad €  xxxxxx  ( all. 8);
  • Il reddito  complessivo è pari ad € xxxxxx00,rigo RN1 dell’Unico 2004, composto dai seguenti redditi:
    • Terreni  dominic.                   €      x0,00
    • Terreni agrario                       “        xxx,00
    • Fabbricati                                   xxx,00
    • Ass. lav.
      dipendente                 xxx,00
    • Autonomo                              xxxxx00 (all.8)
    • di impresa
      minore                  xxxxxxall.9) 

 xxxxxxxxxxx

  • Ø VIOLAZIONE  DEL DIRITTO DI LIBERTA’ DI INIZIATIVA ECONOMICA – ART. 41 DELLA COSTITUZIONE- L’effetto repressivo della richiesta di  pagamento di imposte su un reddito inesistente, come nel caso in esame,  configura violazione del diritto di intraprendere iniziative economiche che non  sempre risultano redditualmente allineate alle assai e discutibili aspettative  del Fisco in materia di studi di settore.  

P. Q. M.

Viene a finale considerazione  che l’ avviso d’accertamento è completamente estraneo al nostro Stato di  Diritto ed al suo Ordinamento Tributario, per violazione di norme  Costituzionali, illegittimità, infondatezza, illiceità, abuso, arbitrarietà, e  quindi da ritenersi nulli o soggetti a censura di annullamento.

Il sottoscritto, richiamando  ciascun punto del ricorso, 

CHIEDE

A) – che Codesta On.le Commissione Tributaria  Provinciale di Bari, in accoglimento del presente ricorso, dichiari la  disapplicazione del D.L. 30.8.1993, n. 331 convertito, con modif., in L.  29.10.1993, n. 427, l’annullamento dell’atto per quanto esposto in diritto ed  in subordine l’annullamento dell’ atto di accertamento, siccome  incostitutivo, radicalmente viziato ed  illegittimo per violazione di legge, eccesso di potere, carente o inesistente motivazione,  nonché infondato in fatto e diritto;

C) – l’annullamento delle sanzioni pecuniarie. Con vittoria delle spese di giudizio.

Si  deposita:

xxxxxxxxxxxxxx

xxxxxxxxxxxxx

Putignano, 18.01.2010
Con Ossequio
Il difensore abilitato                                                                                    _____________________
Rag.Tonio Detomaso

ATTESTAZIONE DI CONFORMITA DELLA COPIA DEL RICORSO ALL’ORIGINALE.

Il sottoscritto rag. Tonio Detomaso, in  qualità di difensore abilitato dal Signor xxxxxxxxxxxxxxx nella presente
controversia attesta, ai sensi dell’art.22, comma 3, del D. Lgs. 546/1992, che  questo ricorso è conforme all’originale consegnato all’ Agenzia delle Entrate  Ufficio di xxxxxxxxxxxxxxx in data _________.
Firma del difensore
_____________________
Rag. Tonio Detomaso

 

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