ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI B A R I
Oggetto: ANNO 2004 – IMPOSTE IRPEF –– IRAP – IVA da STUDI DI SETTORE.
RICORSO avverso l’ Avviso di Accertamento n. xxxxxx per l’anno 2004, prot. n. xxxxx del xxx, atto notificato
in Putignano il xxxxx, raccomandata n. xxxxx, emesso dall’AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI xxxxxx.
Contro:
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI xxxxx.
ricorrente: xxxxxxxxxxxxxxxxxxx, nato
a xxxxxxx il xxx ed ivi domiciliato in Via xxxxxxxxxxxxxxx, C.F. xxxxxxxxxxxxx,
amministratore di condominio;
e per
suo nome e conto, il difensore tecnico abilitato:
Rag. Tonio Detomaso,
nato a Putignano (Ba) il 4.9.1947, con studio alla Via G.
Pascoli, n.27/a, 70017 Putignano (Ba), Cod. Fisc.
DTM TNO 47P04 H096B, giusta procura alle liti, rilasciata a margine del presente atto di ricorso, a cura
dello stesso ricorrente xxxxxxxxxxxxe.
CON LA RICHIESTA
A) DI TRATTAZIONE DELLA CAUSA IN PUBBLICA UDIENZA, AI SENSI DELL’ART. 33, 1° COMMA
DEL D.LGS. n.546/92.
B) DI ESERCIZIO DI OGNI POTERE ISTRUTTORIO, OVE OCCORRA, ESSENDO LA CONTROVERSIA FORIERA DI ASPETTI COGNITIVI DEL
TUTTO PARTICOLARI, NELLA PROSPETTAZIONE DELLA RATIO DI BISOGNO E DI
ASSENTIMENTO DELL’ART.7 DEL D.LGS. N.546/1992;
C) ALL’UFFICIO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE AVVISANTE, DI ANNULLAMENTO DELL’ OPPOSTO AVVISO,
MEDIANTE L’APPLICAZIONE DELL’ISTITUTO DELL’AUTOTUTELA, AI SENSI DELL’ART. 68
DEL D.P.R. 287/92 E DELL’ART.2 QUATER DEL D.L. 30.09.1994, IN LEGGE 30.11.1994, N.656 E DELLE DIRETTIVE APPLICATIVE
E REGOLAMENTARI DETTATE DALLE ISTITUZIONI GERARCHICHE SOVRAORDINATE.
Il sottoscritto difensore rag. Tonio Detomaso, libero professionista in Putignano (Ba), ha ricevuto mandato difensivo dal Sig. xxxxxxxxx,xx
essendogli giunto a notifica il xxxxxxxx l’ avviso d’accertamento n. xxxxxxx/2009 (Prot. n. xxxxxxxx del xxxxxxx), emesso
dall’AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DIxxxxxxxxxxxxxxxxx .
Egli in esecuzione del mandato difensivo ricevuto, ha riscontrato la totale infondatezza ed illegittimità del citato avviso
d’accertamento, pertanto, ai sensi dell’art. 18 e seguenti del D. Lgs. 31.12.1992, n. 546 e s.m.,
RICORRE
A Codesta On.le Commissione Tributaria Provinciale, quale Giudice a quo, affinchè eserciti la relativa cognizione e decida la controversia ai sensi dell’art. 36 dello stesso D. Lgs. N. 546/1992.
MOTIVI DEL
RICORSO
IN FATTO
1) Il 25 giugno 2007 due Funzionari dell’Agenzia delle Entrate di xxxxxx iniziavano nei confronti del ricorrente xxxxxxxxxle la verifica per l’anno in corso (2007) ed il controllo per il periodo d’imposta 2004 ai fini degli Studi di settore, giusta autorizzazione prot. xxxxxx del xxxxxxxx (all.5) a firma del Direttore dell’Ufficio di xxxxxxxxxxxxxx. La verifica iniziava il giorno 25 e si concludeva il 28 del mese di xxxx 2007, con la redazione dei relativi verbali giornalieri. Il giorno 29.06.2007 veniva redatto il Processo Verbale di Constatazione (all.1).
2) Dal verbale di constatazione, in sintesi, si apprezzano i seguenti elementi di sintesi comprovanti la corretta tenuta delle scritture contabili e la
corrispondenza dei dati dichiarati con la documentazione contabile:
- Pag. 4- “ Per quanto concerne l’esame formale relativo all’anno in corso, si rileva che dall’eseguito controllo in ordine alla regolare istituzione ed aggiornamento delle scritture contabili, non emergono situazioni che potrebbero essere sanzionate”. Pag. 5- “ Considerato che la ditta xxxxxxxxxx, con riferimento alle due attività esercitate ( amministrazione e gestione di beni immobili per conto terzi di cui al codice 70320 e Agenzia di mediazione immobiliare di cui al codice 70310), risulta essere assoggettata agli Studi di Settore, i verbalizzanti hanno acquisito i modelli dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore forniti dalla parte e, dopo aver constatato la veridicità dei dati extracontabili e dei dati contabili inseriti negli stessi, hanno rilevato l’esito del calcolo…”
3) Il 18 dicembre 2009 è stato notificato l’accertamento impugnato con il quale l’Agenzia di xxxxxxxxxxx, con riferimento all’attività di amministratore di condominii, per l’anno 2004, accerta maggiori ricavi pari ad € xxxxx.444,00 e chiede il pagamento delle seguenti somme:
IRPEF € xxxxxx40,00
ADDIZIONALE REGIONALE €
xx0,00
ADDIZIONALE COMUNALE € xxx,00
IRAP €
xx xxxxx,00
IVA €
xxxxx,00
SANZIONE AMMINISTRATIVA €
xxxxx,00
INTERESSI € xxxxx
L’Ufficio eleva il reddito di lavoro autonomo (amministratore di condominii) da € xxxx6,00 ad € xx020,00, mentre lascia invariato il reddito d’impresa dichiarato pari ad € xxxx448,00 ( per l’attività svolta di intermediazione immobiliare) e pertanto il reddito complessivo per l’anno 2004 da € xxxx.241,00 passa ad € xxxx5,00.
***. IN DIRITTO .***
- DIFETTO ED INVALIDA MOTIVAZIONE DELL’ ATTO DI ACCERTAMENTO. ILLEGITTIMA APPLICAZIONE DEGLI
STUDI DI SETTORE – NULLITA’.
L’Ufficio dà atto che il Processo Verbale di constatazione del xxxxxx007 ( e non 2009!.) fa parte integrante dell’accertamento impugnato, anzi è fondamentale e se ne rivendica l’integrazione in quanto dall’accertamento si evidenzia la totale discrasia della motivazione tra PROCESSO VERBALE DI CONSTATAZIONE E ATTO DI ACCERTAMENTO, atti disposti a due anni di distanza l’uno dall’altro ed infatti:
1. La motivazione riportata a pag.3- 4° CPV- “… I verificatori, relativamente alla … fino a Pertanto si ha:” è difforme e non corrispondente al vero, è diversa rispetto a quella riportata alla pag. 6 del PVC. L’Ufficio scrive che “ poichè a partire dall’anno 2004 (è esatto invece il 1994) l’Autorità Garante della concorrenza ha vietato l’emanazione di tariffari in materia di amministrazione condominiale, è stato preso in considerazione un tariffario adottato (non esattamente in quanto trattasi di “ semplice intesa”) dagli aderenti Putignanesi all’ANACI, associazione di categoria maggiormente rappresentativa su scala nazionale. Il tariffario del maggio 2003 è stato preso come riferimento in quanto è il risultato di accordi presi in ambito locale, in base ad esigenze ricadenti nella realtà del Comune di Putignano. I verbalizzanti hanno fatto riferimento ad un ambito più ampio, legato alla realtà nazionale degli studi di settore, in considerazione del fatto che il professionista nel 2004 amministrava anche condominii di grande pregio ed importanza, come xxxxxxe di via xxxxxxxxxxx, comprendente circa 434 appartamenti, più box e negozi”.
Per l’esattezza il condominio di “ pregio” era solo quello dell’Exxxxx e non molti altri come lascia intendere il verificatore; tra l’altro il citato
condominio è stato amministrato per tre anni, fino al 2007.
Dal PVC , invece, a pag. 6, punto 2), emerge che:
4° rigo “ A partire dall’anno 1994 (e non 2004) l’Autorità Garante della Concorrenza ha vietato…;
7° rigo “ A titolo puramente indicativo si segnala che, sulla base di un tariffario adottato dagli aderenti Putignanesi all’ANACI, associazione di categoria maggiormente rappresentativa su scala nazionale, le prestazioni dell’amministratore sono generalmente distinte in ordinarie e straordinarie”.
- 19° rigo “ Tale tariffario del maggio 2003, che si acquisisce agli atti, è stato preso in considerazione dai verbalizzanti semplicemente come riferimento, in quanto lo stesso è il risultato di accordi presi in ambito locale, in base a criteri ed esigenze ricadenti nella realtà di Putignano.
Pertanto, nel calcolo, alcuni valori di riferimento si discosteranno da quelli minimi in quanto gli stessi verbalizzanti hanno fatto riferimento ad un ambito più ampio, legato alla realtà nazionale degli studi di settore, considerando comunque che il professionista nel 2004 amministrava anche condominii di grande pregio ed importanza, come per esempio l’xxxxxx di via xxxxxxin Bari, comprendente circa 434 appartamenti, più vari box e negozi”.
Dunque due atti dell’Ufficio, uno prende in considerazione semplicemente come riferimento il tariffario 2003 ma di fatto, nel calcolo, applica un riferimento ad un ambito più ampio, legato alla realtà nazionale degli studi di settore, l’altro prende in considerazione un tariffario adottato dagli aderenti all’ANACI, ma di fatto fa anche riferimento ad un ambito più ampio legato alla realtà nazionale degli studi di settore.
Non vi è alcun dubbio che l’operato dell’Ufficio è confuso, arbitrario, discrezionale, opportunistico e privo di riscontro dell’effettiva e concreta
adozione da parte degli amministratori di Putignano di quel “tariffario” del maggio 2003 e quindi illegittimo, ma è anche nel contempo chiaro che intende pervenire, in un modo qualsiasi ed a tutti i costi, volendo giustificare la missione, al risultato degli studi di settore, ovvero ad € xxxxxxx0; e di fatto l’accertatore dice che i maggiori ricavi sono € xxxxxxx, dati da e xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx0, pag. 4 dell’accertamento. Quest’ultimo risultato è il prodotto delle unità immobiliare gestite ( corrispondenti esattamente a quanto indicato dal contribuente nel modello studi di settore allegato alla dichiarazione dei redditi 2004) moltiplicate per i compensi che, secondo l’Ufficio, il contribuente avrebbe dovuto applicare, ma che nella realtà il soggetto NON HA MAI APPLICATO per un quintale di ragioni, ma fra tutti perchè l’intesa non vincola alcunchè per nessuno.
Certamente gli onorari applicati, lo dicono i verificatori, sono attinti da “ ambiti più ampi legati alla realtà nazionale degli studi di settore”. Così nascono le favole!.
Non si capisce che un “ foglio di carta intestato tariffario” contenente indicazioni di possibili, auspicabili tariffe, ma senza la previsione di espresse clausole contrattuali vincolanti, NON HA ALCUN VALORE GIURIDICO, anche perchè, se adottate, avrebbero violato le direttive dell’Autorità Garante della Concorrenza.
Vanno fatte a proposito tre importanti considerazioni:
a) I compensi sono stati elaborati, inventati dai verificatori perchè non corrispondono nè a quelli effettivamente applicati dal contribuente, nè al famigerato tariffario, nè ad altri dati di qualsiasi fonti ;
b) I compensi per l’attività di amministratore sono liberi e si determinano secondo il mercato e la classica concorrenza;
c) I verificatori pur avendo riscontrato la corrispondenza dei dati dichiarati e la corretta tenuta delle scritture contabili, sono andati oltre giustificandosi con gli studi di settore, ma senza verificare l’esistenza delle condizioni di legge ( che non c’erano), nè la loro applicabilità
in presenza dei presupposti per motivare il risultato da studi di settore.
In merito alla questione tariffario si chiarisce che nell’anno 1996 alcuni amministratori di condominio di Putignano si riunirono per tentare di redigere un tariffario da adottare, da quella data in poi, da parte degli stessi comparenti (all.2). In detta occasione furono ipotizzati alcuni compensi che, tuttavia, nessuno ha mai applicato per ragioni di mercato, nè era obbligato a farlo. Nel maggio 2003 il tariffario (all. 3) fu tradotto in euro a cura ed iniziativa di un amministratore di condominii che ritenne di doverlo diramare ai colleghi, dopo aver unilateralmente apportato ai compensi alcune variazioni. Il suddetto “pezzo di carta” non aveva alcuna pretesa se non quella di aver reso notizia ad altri e, per quanto a conoscenza del ricorrente, mai nessuno degli amministratori di condominii locali ha applicato dette tariffe.
La rappresentazione di cui innanzi è vera ed è quella che si chiede abbia valenza legale poichè i numeri adottati dai verificatori per la “ ricostruzione indiretta dei compensi, pag. 6 del PVC, sono stati decisi dai verificatori, senza il supporto di dati certi e noti che potessero comporre le presunzioni semplici. L’Ufficio, dal canto suo, ha assecondato il lavoro svolto dai verificatori, tentando di rendere dati discrezionali, ipotizzati, in dati veri da assumere per la determinazione di maggiori ricavi; quindi, qualunque criterio o metodo o procedura abbia usato
è infondato perchè non rispondente alla verità dei fatti. Per tutte si allega plico (all. 4) composto da n.70 fotocopie di fatture emesse nei confronti dei condominii con allegati rendiconti approvati in assemblea annuale, comprovanti i reali corrispettivi conseguiti dal contribuente per l’anno 2004. L’operato dell’Ufficio va disatteso per violazione dell’art. 62 sexies, 3° comma, del D.L. 30.08.1993, n. 331 conv. in Legge 29.10.1993 n. 427, il quale prevede che “ Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lett d), del decreto del Presidente della
Repubblica 29.09.1973, n.600, e successive modificazioni, e 54 del D.P.R. 26.10.1972, n. 633, e s.m., possono essere fondati anche sull’esistenza di
gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni
di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del presente decreto”.
L’accertamento da studi di settore, cioè quello fatto dall’Ufficio, passa obbligatoriamente dall’art. 39, 1° comma, lett. D) del D.P.R. 29.09.1973, n. 600, per il quale, fermo restando che l’applicazione dell’art. 39 è possibile solo se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa ( e nel caso in esame i verificatori danno atto che il soggetto verificato non è sanzionabile perchè le scritture contabili
sono tenute correttamente, pag. 4 del PVS – all. 1) nonchè dei dati e delle notizie raccolti dall’Ufficio nei modi previsti dall’art. 32. L’esistenza
di attività non dichiarate o la inesistenza di passività è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti. è ormai principio consolidato che GLI STUDI DI SETTORE SONO PRESUNZIONI SEMPLICI senza l’inversione dell’onere della prova a danno del contribuente.GLI INDICATORI DI NORMALITA’ ECONOMICA (INE) IN QUANTO COMPONENTI STRUTTURALI DEGLI STUDI DI SETTORE SONO PRESUNZIONI SEMPLICI.
Quindi, il fisco deve dimostrare e documentare le gravi incongruenze, ovvero gli scostamenti anche a mezzo di presunzioni semplici purchè siano gravi, precise e concordanti, senza alcuna inversione dell’onere della prova.
La giurisprudenza di legittimità Corte di Cassazione –sez. Tributaria-sentenze n. 17229/06, n. 2380/06, n.9135/05, n.9946/03 e n. 13995/02, e di merito che si è interessata della questione, ha ribadito che in tema di studi di settore le presunzioni sono sempre semplici, senza l’inversione dell’onere della prova a danno del contribuente e che bisogna preventivamente dimostrare le gravi
incongruenze, perché da soli gli studi di settore non possono avere alcuna forza accertatrice.
L’AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIOINE CENTRALE HA EMANATO IN TEMA DI PRESUNZIONI SEMPLICI LA CIRCOLARE N.5 DI GENNAIO 2008, n.13/E/2009, LA NOTA INTERNA DEL 4 GIUGNO 2009, con cui chiarisce inequivocabilmente che negli studi di settore
la presunzione è semplice e che l’Ufficio deve sempre dare la prova (che non può essere la “ ricostruzione indiretta dei ricavi basata su dati (compensi) ipotizzati, pag. 6 del PVC), ovvero senza neppure un dato certo. LA CASSAZIONE HA FISSATO NELLO STUDIO DELL’UFFICIO MASSIMARIO (RELAZIONE TEMATICA N. 94 DEL 9 LUGLIO 2009) 7 PUNTI FERMI SUGLI STUDI DI SETTORE : QUANTO AL VALORE DEGLI STUDI DI SETTORE- Viene esclusa la natura di presunzione legale degli studi. Il dato testuale e il fatto che gli accertamenti siano mirati alla determinazione dei ricavi sono decisivi ai fini dell’inquadramento nell’ambito dell’art. 39, comma 1, lettera d) del DPR 600/73, ( in base al quale, l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti).
Le presunzioni gravi, precise e concordanti cui si riferisce la norma, non sarebbero costituite dallo scostamento rispetto agli ” standards”, in sé
considerato, ma andrebbero individuate di volta in volta nel caso concreto, soltanto all’esito del contraddittorio con il contribuente, in relazione alle eventuali giustificazioni addotte e al comportamento da lui tenuto. Ma allora a quali presunzioni i verificatori si riferiscono ?.
Nel caso in esame l’Ufficio ha svolto attività di verifica sul campo, direttamente, riscontrando la veridicità, l’esattezza dei dati e delle registrazioni
contabili; in situazione di normalità l’attività dell’ufficio non doveva proseguire concludendosi con l’emissione dell’accertamento qui impugnato. L’Ufficio ha clamorosamente fatto “autogol”, ovvero, le modalità operative attuate e l’attestazione negativa del controllo fatto hanno finito
col divenire prova, per il soggetto verificato, che nel caso in esame non ricorrevano i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche affinchè l’Ufficio potesse promuovere l’atto di accertamento e tanto meno affinchè lo stesso fosse ispirato e guidato dagli <studi di settore >, per la cui procedibilità vigono condizioni preliminari e norme che devono essere rispettate.
A fare definitiva chiarezza, interviene ora LA CASSAZIONE, A SEZIONI UNITE, con le Sentenze nn. 26635-26636-26637-26638, depositate il 18.12.2009 .
Gli studi di settore ed i parametri rappresentano un sistema di presunzioni semplici che devono necessariamente essere personalizzate nell’ambito del contraddittorio.
La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore risulta basata su delle presunzioni semplici <<la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente >>.
Esito del contraddittorio che poi deve far parte della motivazione dell’atto di accertamento.
La Corte rileva ulteriormente che gli studi di settore rappresentano una elaborazione statistica il cui frutto è una ipotesi probabilistica che, come
tale, può solo costituire una presunzione semplice.
Va rilevato che l’Agenzia delle Entrate, a partire dalla circolare n. 5/E del 23.1.2008, aveva già intrapreso un percorso di riconoscimento di quanto dice oggi la Corte di Cassazione.
LA CASSAZIONE HA FISSATO NELLO STUDIO DELL’UFFICIO MASSIMARIO (RELAZIONE TEMATICA N. 94 DEL 9 LUGLIO 2009) 7 PUNTI
FERMI SUGLI STUDI DI SETTORE : LO SCOSTAMENTO TRA IL DICHIARATO E LO STANDARD: l’accertamento non può fondarsi sul solo
scostamento tra quanto dichiarato e i livelli di congruità previsti in via generalizzata dagli studi di settore, ma deve essere confortato da elementi
ulteriori. La questione se le risultanze degli studi di settore possano sorreggere da sole l’accertamento rappresenta, alla stregua dell’evoluzione
giurisprudenziale, “ un falso problema”. E’ nel momento di incrocio tra i dati previsti in via generale e la realtà concreta del contribuente, che si deve concentrare l’analisi. Infatti, alle pagine 3 e 4 dell’accertamento i compensi riportati non corrispondono affatto ad alcun “tariffario” che, si
specifica, trattasi di un’auspicabile intesa e quindi lungi dall’essere vincolante. L’autorità Garante della Concorrenza, anzi, vieta l’emanazione di tariffari in materia di amministrazione condominiale. L’intesa di cui innanzi è una “ carta “ che non ha alcun valore contrattuale. Allora quale analisi concreta hanno condotto i verificatori e l’Ufficio successivamente ?. C’è almeno un amministratore operante nel Comune di Putignano
che applica le tariffe contenute nel tariffario?.
2) Il vizio dell’atto amministrativo per manifesta contraddittorietà si estende alla violazione di legge avendo l’Ufficio disatteso di considerare, meglio falsamente applicato la legge, che gli studi di settore sono presunzioni semplici e quindi vanno dimostrate e provate rigorosamente con elementi riscontrabili, i quali non possono essere nè altre presunzioni, nè lo scostamento tra i ricavi dichiarati dal contribuente e quelli che risultano dagli studi di settore, nè l’applicazione di un pseudo tariffario. D’altronde se l’Ufficio intende (decide) assumere certe scelte in
luogo di altre, ovvero non considera le risultanze reddituali del contribuente e non rispetta le modalità attuative della procedura degli studi di settore, deve quanto meno indicare i presupposti di fatto ed le ragioni giuridiche affinchè sia comprensibile anche il percorso logico.
IL CONTRIBUENTE NON SA, NON CAPISCE IL PERCHE’ DI QUESTA CHIAMATA ERARIALE STRAORDINARIA.
La ricerca “ a tutti i costi” di ricavi inesistenti da aggiungere a quelli dichiarati dal contribuente è costume frequente del Fisco, ma a volte, così non è ed è soggetta a censura di illegittimità per abuso e violazione di regole e norme in materia di accertamento.
3) L’avviso di accertamento va motivato sotto due profili concettualmente e giuridicamente distinti: da un lato occorre giustificare l’esistenza dei
presupposti che legittimano l’accertamento induttivo, dall’altro devono essere indicate le ragioni che supportono i calcoli effettuati per la determinazione del maggior reddito.
L’obbligo di una adeguata motivazione degli atti amministratrivi che incidono su situazioni giuridiche soggettive ( qualificabili vuoi come diritti soggettivi vuoi come interessi legittimi) del contribuente, costituisce un principio generale del nostro Ordinamento Giuridico, come tale applicabile anche nel sistema normativo tributario, nonchè un principio di civiltà giuridica tendente a salvaguardare la fondamentale ed
insopprimibile esigenza di circondare la sfera patrimoniale del contribuente di un adeguato strumento di garanzia, consentendo il controllo giurisdizionale dei limiti legali del potere di imposizione ( così Cass. 10.1.1973, n.24, Corte Cost. 8.2.1966, n.7 e Cons. di Stato 30.4.1966) ed assicurare, quindi in ogni caso al contribuente, di fronte alla pretesa tributaria una difesa adeguata delle proprie ragioni ( Cass. 26.10.1988, n. 5783; 13.7.1989, n.3285; 20.11.1989, n. 4966).
Un sensibile rafforzamento della tutela della posizione del contribuente discende dalla previsione dell’art.3 della Legge n. 241 del 1990 che ha generalizzato l’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti amministrativi. Il comma 3 del citato art. 3 precisa che la stessa motivazione deve estendersi ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, norma ripresa integralmente nell’art. 7 della Legge 27.7.2000,n. 212 ( Lo Statuto del contribuente).
- ERRATA INTERPRETAZIONE DELLA GRAVE INCONGRUENZA –VIOLAZIONE DELL’ART. 62 SEXIES DEL D.L. 331/93.
L’art. 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n.331 in L. 29.10.1993, n. 427, in particolare, ha previsto l’elaborazione degli studi di settore in relazione ai vari settori economici di esercizio delle attività imprenditoriali e professionali “ al fine di rendere più efficace l’azione accertatrice”. Ai sensi dell’articolo in esame, gli studi sono strumenti elaborati dall’Amministrazione finanziaria, secondo la procedura così articolata:
- Identificazione di campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori, che presentano, cioè, caratteristiche aziendali simili;
- Controllo di questi campioni “allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata”. Il
non corretto uso della metodologia degli studi di settore, nella linea del sistema garantista cui la Carta Costituzionale si ispira, non soddisfa almeno per due argomenti :
per primo: la notifica di un avviso di accertamento ha conseguenze in sè sanzionatorie, essa implica, infatti, un pregiudizio per il contribuente, sopratutto economico, essendo l’atto suscettibile di diventare definitivo e motivo dell’iscrizione a ruolo di una parte delle imposte accertate;
per secondo: manca l’identificazione del campione di contribuenti, economicamente coerenti, assunto per la formazione della “ base di riferimento “, poichè nè la nota tecnica e metodologica, nè altre fonti ufficiali forniscono chiarimenti sullo specifico punto. In via astratta o il
riferimento è a posizioni soggettive verificate mediante attività ispettive e di riscontro ( ma anche tale ipotesi lascia pur sempre dei margini di
incertezza ) oppure l’enucleazione è scaturita dal confronto con indici di produttività o di redditività forniti dalle categorie economiche interessate, cioè di parte;
- non sempre esistono correttivi territoriali, nè a livello Regionale nè a livello di centro abitato in cui l’attività viene esercitata. Ciò significa che in base agli studi di settore la stessa attività commerciale o professionale al centro di Milano o in un paese ipotetico della Puglia con meno di 1000 abitanti dovrebbe, produrre il medesimo fatturato e lo stesso volume di compensi. La mancanza di certezza, quale indice di
attendibilità, è conseguenza (dannosa) inevitabile delle procedure per valori medi. Sarebbe davvero pretestuoso pretendere di raggiungere, per tale via, risultati conseguibili esclusivamente con metodologie analitiche per cui, una volta optato per uno schema sintetico-induttivo, occorre gioco forza accettare anche possibili profili negativi quale inevitabile conseguenza del sistema procedurale prescelto.
L’ANACI con un articolo apparso su Italia Oggi del 28.01.2009 (all.6), in merito all’eterogeneità territoriale dell’attività di amministratore
ha bocciato lo studio di settore, individuando nel particolare settore elementi economici difficilmente riconducibili ad un comune denominatore.
L’ultimo periodo dell’art. 62-bis stabilisce, infine: “ Gli studi di settore sono approvati con Decreti del Ministero delle Finanze,
da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995 ( prorogato al 31.12.1998 dall’art.3, co. 124, L. 23.12.1996, n. 662), possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell’accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995”( termine differito al 31.12.1998 ); risulta subito evidente l’incerta affidabilità dello strumento statistico e sicuramente ogni volta che la stessa Amminstrazione Finanziaria, per qualsiasi ragione, deve revisionare uno o più studi di settore.
L’art. 62-sexies, comma 3, dello stesso Decreto, che rappresenta la norma di riferimento in tema di accertamento da studi di settore, stabilisce, invece, che gli accertamenti (analitici-induttivi) di cui agli artt. 39, co.1, lett. d), del D.P.R. 29.9.1973, n. 600 (imposte dirette) e 54 del D.P.R. 26.10.1972, n. 633 (IVA) “ possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi
dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore”.
Come si vede, i comma 62 bis e 62 sexies rendono comprensibile la differenza tra principio enunciativo (62 bis) e principio attuativo (62 sexies). Infatti, l’art. 62-sexies, comma 3, citato non ha previsto che la determinazione del reddito o dei ricavi avvenga sulla base degli studi di settore, come invece è detto nelle disposizioni che disciplinano i precedenti strumenti di accertamento quali “ Coefficienti art. 12 della L. 154/89, Contributo diretto lavorativo – L. 427/93, Redditometro – art. 38, 4 c D.P.R. 600/73, Regime forf, Parametri art. 3 L. 549/95”, ma al contrario, lo studio di settore, viene investito semplicemente della funzione di agevolare l’espletamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria della funzione accertativa, permettendo alla stessa, in presenza di gravi incongruenze, di procedere ad accertamento analitico-induttivo.
L’art. 62-sexies, comma 3, richiede espressamente, per legittimare l’accertamento (fondato), che si verifichi una grave incongruenza tra i ricavi, i compensi dichiarati dal contribuente e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore. Il legislatore, pertanto, non ha ritenuto sufficiente
il risultato degli studi di settore come fatto noto per determinare acriticamente i risultati conseguiti dal contribuente, ma ha richiesto
ulteriormente la presenza di “ gravi incongruenze” tra questi ultimi e gli studi di settore.
I ricavi (determinati) ipotizzati dall’Ufficio per “ ricostruire indirettamente” pag. 6 del PVC, rappresentano possibili, probabili,
auspicabili, ipotizzabili ricavi e MAI RICAVI FONDATAMENTE DESUMIBILI DAGLI STUDI DI SETTORE, ne consegue che in presenza di corretto comportamento amministrativo del contribuente, ed in assenza di altri riscontri, l’ente impositore non avrebbe titolo e ragione per creare “ un accertamento”.
Inoltre, la grave incongruenza non può affatto essere rappresentata dallo stesso scostamento rispettto agli studi di settore.
Il solo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli derivanti dall’applicazione degli studi non costituisce
di per sè la grave incongruenza ma legittima semplicemente l’Ufficio ad effettuare l’accertamento analitico-induttivo
di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/73, previa esaltazione della consistenza della grave incongruenza, e ricorrendone le altre condizioni di legge.
La Suprema Corteè andata oltre, chiarendo, in sostanza, che la mera difformità delle percentuali di ricarico applicate, rispetto a quelle emergenti da studi di settore, non legittima un accertamento analitico-induttivo, ma occorre che le risultanze degli studi di settore siano “ confortate da altri indizi”. Va detto che l’art. 10 della Legge n. 146/98 non ha assolutamente modificato il quadro normativo di riferimento dal momento che, disciplinando le “ modalità di attuazione degli studi di settore”, trattasi di semplice norma di attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 62-sexies del D.L. n. 331/93, il quale è e rimane l’unica norma di riferimento in tema di accertamento da studi di settore. L’art. 10 citato non incide in alcun modo sull’operatività di tale requisito indefettibile, anche in forza del rinvio agli “accertamenti basati
sugli studi di settore di cui all’art. 62-sexies”, che presuppone la volontà del legislatore di richiamare l’intero ambito di operatività di tale norma,
comprese le condizioni in essa contenute.
Ne consegue che il presupposto per procedere ad un accertamento analitico-induttivo fondato sugli studi di settore è, pertanto, soltanto
la sussistenza di una grave incongruenza tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione degli studi; grave incongruenza che deve
sussistere ancor prima di procedere all’accertamento e che l’Ufficio è comunque tenuto a dimostrare e ad indicare nel proprio
accertamento, il quale non può essere, quindi fondato esclusivamente sulle risultanze degli studi di settore, né tanto meno su pseudo
tariffari, pena l’illegittimità dello stesso per violazione dell’art. 62-sexies D.L. n. 331/1993. Per il vero la dimostrazione della grave
incongruenza doveva essere prodotta dai verificatori i quali hanno trascorso cinque giorni in azienda.
L’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio sulla base del predetto scostamento ed in presenza di verifica ispettiva e PVC, ma senza la motivazione circa i presupposti che hanno legittimato l’Ufficio a procedere all’accertamento, ovvero nel mancato rispetto delle condizioni di procedibilità, è carente di motivazione, stante il disposto dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, Legge 27.7.2000, n.212, in base al quale tutti gli atti dell’Amministrazione Finanziaria devono essere motivati, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione stessa. Quando si legge che gli accertamenti di cui agli artt. 39, co. 1, lett.d), del D.P.R.
n. 600/73 e 54 del D.P.R. n. 633/72 “ possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i
corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili… dagli studi di settore” significa che la legge ha inteso solo individuare una particolare
“fattispecie” suscettibile di accertamento analitico-induttivo, fermi restando le cautele ed i presupposti della citata lett. d) del primo comma dell’art. 39, del D.P.R. n. 600/73 e dell’art. 54 del decreto IVA.
In altri termini, le divergenze ipotizzate tra risultati contabili e risultati dello studio di settore non autorizzano
l’ufficio finanziario ad accertare a carico del contribuente un imponibile pari o diverso al risultato dell’elaborazione statistica ma, viceversa, autorizzano l’Ufficio (solo) ad adottare i criteri di accertamento indicati nella predetta lettera d), con l’obbligo di confrontare ( e supportare) il risultato dello studio con presunzioni gravi, precise e concordanti, nella considerazione che lo studio non esprime ricavi/compensi
“effettivi” ma solo “ragionevoli” in condizioni ordinarie ( l’ordinarietà operativa dell’azienda va ricercata sempre e valutata in tutti gli aspetti
tipici e caratteristici della stessa, non esclusi quelli finanziari a breve e medio termine).
E’ in questa direzione che l’Ufficio, una volta verificato che gli elementi dello studio di settore siano corretti numericamente ( e lo ha fatto durante la verifica in campo), deve dapprima dotarsi della motivazione e della prova per poi procedere alla determinazione
dei maggiori ricavi; solo per questa via “ prova-accertamento-determinazione “
si accredita il giusto ed equo procedimento sia per l’Erario che per il cittadino contribuente.
I verificatori prima e l’Ufficio successivamente hanno violato le norme tributarie.
FALSA ED ERRONEA APPLICAZIONE DELL’ART. 39, COMMA 1 LETT. d) D.P.R. N.600/73 E ART 55 D.P.R. 633/72.
La norma base è l’art. 62-sexies del D.L. 331/1993, il quale dispone che gli accertamenti analitico-induttivi ( art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R.
600/73) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratterisitche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore. La norma richiama gli accertamenti disciplinati all’articolo 39, comma 1, lettera d) del D.P.R. 600/1973, che possono essere effettuati sulla base di presunzioni
semplici, purchè queste risultino gravi, precise e concordanti. Già questo dato è sufficiente per affermare che gli studi di settore sono presunzioni semplici e mai legali; posizione ormai ribadita più volte dalla stessa Direzione Generale dell’Agenzia delle Entrate e dalla sancita copiosa Giurisprudenza.
LA CASSAZIONE SEZIONI UNITE, con il deposito del 18.12.2009 delle Sentenze n.26635-26636-26637-26638 ha definitivamente stabilito che gli studi di settore ed i parametri rappresentano un sistema di presunzioni semplici che devono necessariamente essere personalizzate nell’ambito del contraddittorio ( nel caso in esame il contraddittorio è durato ben cinque giorni, cioè tutto il periodo della verifica, ed alla fine nessun nuovo elemento è emerso dal controllo di migliaia di documenti).
La procedura di accertamento standardizzato mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore risulta basata su delle presunzioni semplici <<la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente >>.
A suggellare il principio, la Corte rileva ulteriormente che gli studi di settore rappresentano una elaborazione statistica il cui frutto è una ipotesi probabilistica che, come tale, può solo costituire una presunzione semplice.
Va rilevato che l’Agenzia delle Entrate, a partire dalla circolare n. 5/E del 23.1.2008, ha già intrapreso un percorso di riconoscimento di quanto dice oggi la Corte di Cassazione. Già con la “ Sentenza 2891/2002 della Corte di Cassazione “ fu precisato che per legittimare un
accertamento di tipo analitico-induttivo non era sufficiente la mera applicazione matematica degli studi, ma occorreva che le loro risultanze fossero confortate da altri indizi. Dello stesso avviso sono state le Commissioni Tributarie Provinciali (Macerata, Milano, Lucca), fino ad arrivare alle più recenti della CTR Puglia, Sentenza 19.5.2006, n.42/1/06, CTR Lazio, Sent. 64/06/08 del 10.4.2008.
Nessun strumento induttivo, siano essi i parametri o gli studi di settore, può obbligare il contribuente a dichiarare più di quanto
effettivamente incassa, nè laddove la norma consente di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili e di
avvalersi anche di presunzioni prive di “ gravità, precisione e concordanza”, deve essere pur sempre interpretata come norma volta a determinare la capacità contributiva del singolo contribuente sulla base di argomentazioni logicamente attendibili, non già a consentire che tali particolari modalità accertative siano utilizzate per determinazioni non accurate o addirittura per punire il contribuente.
A parere dello scrivente si registra la violazione di legge, atteso che il risultato da studi di settore, quale conseguenza di indizi
costituenti assiomi del ragionamento deduttivo applicato per arrivare alle presunzioni semplici, è stato ritenuto erroneamente quale “ ricavo determinato” – “ certo” , non bisognoso di alcuna prova, pur avendo proceduto alla ricostruzione indiretta dei ricavi impiegando numeri di ignota provenienza, pur di pervenire al risultato uguale o prossimo a quello degli studi di settore, in violazione di quanto disposto dall’art. 62 sexies del D.L. 30.08.1993, n. 331, che rinvia all’art. 39 del D.P.R. 29.09.1973, n. 600, ed ignorando il disposto della lett. d), 1° comma, dell’art. 39/600, quando richiede che l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti, senza aver seguito il percorso precedente che richiede
l’accertamento preliminare delle fasi:
- Dimostrazione della grave incongruenza;
- Dimostrazione dello scostamento tra ricavi dichiarati e quelli da studi di settore;
- Dimostrazione dell’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione dei redditi;
- La verifica delle presunzioni semplici.
Tutto questa attività non è stata fatta, nè serviva farla in quanto i verificatori avevano da subito attestato la correttezza del soggetto sotto
ogni profilo contabile e reddituale da sottoporre a prelievo fiscale.
- INCOMPATIBILITA’ DELLO STRUMENTO STUDI DI SETTORE CON IL SISTEMA DI ACCERTAMENTO ACCOLTO DAL LEGISLATORE DELLA RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1971.
- Il sistema di accertamento del reddito e del volume dei ricavi per gli imprenditori commerciali e gli esercenti arti e professioni, quale emerge dal tessuto normativo della riforma tributaria del 1971, appare caratterizzato:
a) dall’estensione di obblighi formali, di carattere strumentale rispetto al prelievo, a tutti i soggetti rientranti nelle citate categorie;
b) dalla molteplicità di tali obblighi e dalla rigidità della loro disciplina, al fine di pervenire a dati numerici precisi;
c) dalla previsione di sanzioni elevate in caso di violazioni di obblighi formali allo scopo di assicurare il loro adempimento, considerato essenziale ai fini dell’accertamento;
d) dall’attribuzione di rilevanza preminente alla regolare tenuta della contabilità, sì da potersi ritenere che essa fa prova a favore del contribuente;
e) dalla circostanza che, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito o di un maggior volume d’affari rispetto ai dati dichiarati, incombe sul Fisco l’onere di fornire le prove in contrasto con le risultanze contabili.
Se tale è il sistema di accertamento voluto dal legislatore della riforma del 1971, il meccanismo degli studi di settore si presenta come un corpo estraneo, inconciliabile con la logica che ha ispirato le norme emanate negli anni 1972/1973, tuttora vigenti nel loro impianto originario, ovvero IL LEGISLATORE NON NE HA ANCORA DECRETATO IL CLASSAMENTO A CARTA STRACCIA..
- VIOLAZIONE DELL’ ONERE DELLA PROVA–
- Trattandosi di presunzioni semplici, la prova resta a carico dell’Ufficio, il quale nell’operare dovrà assumere fatti noti. La
determinazione dei ricavi sarà la conseguenza, ragionevolmente possibile e verosimile, della considerazione degli ulteriori elementi rapportati all’applicazione delle tabelle, calcoli degli studi di settore. L’Ufficio, invero, lo deve dimostrare con le
normali regole delle presunzioni ( CC 8 apr.2004/5899; CC 24.2.2004/3646; CC 9.2.2004/2431), considerato, altresì, che il risultato del procedimento induttivo è pur sempre una presunzione che deve avere tutti i requisiti di gravità, precisione e concordanza che le conferiscano la forza di una prova (CTP di Bari, sez. I, 25.7.2005, n. 115, CTR di Bari Sez. VIII, 19.10.2005, n.85, CTR
di Bari Sez. III, 8.9.2005, n.80 e CTR Lazio Sent. 64/06/08 del 10.4.2008).
L’avviso di accertamento impugnato non soddisfa l’aspetto probatorio in quanto solo formalmente motivato; per contro
il ricorrente ha tenuto un corretto e giusto comportamento amministrativo e fiscale nel gestire la propria attività, sottoponendo a tassazione i
corrispettivi percepiti in ottemperanza delle norme tributarie vigenti e conformemente alla copiosa, articolata, illuminante e completa Giurisprudenza che copre tutti gli aspetti e profili giuridici degli studi di settore. Egli completa il percorso probatorio, offrendo all’On.le Collegio Giudicante n. 70 fotocopie di fatture emesse per l’anno 2004 nei confronti dei condominii, complete dei verbali di assemblea per l’approvazione annuale dei bilanci di esercizio, dal cui esame si rileva che:
- La somma delle fatture emesse (volume ai fini IVA) è di € xxxxxx e corrisponde esattamente al rigo VE 22 del Quadro VE-VF dell’Unico 2004 (all.7), mentre i compensi assunti col criterio di cassa ammontano ad € xxxxxx ( all. 8);
- Il reddito complessivo è pari ad € xxxxxx00,rigo RN1 dell’Unico 2004, composto dai seguenti redditi:
- Terreni dominic. € x0,00
- Terreni agrario “ xxx,00
- Fabbricati xxx,00
- Ass. lav.
dipendente xxx,00 - Autonomo xxxxx00 (all.8)
- di impresa
minore xxxxxxall.9)
xxxxxxxxxxx
- Ø VIOLAZIONE DEL DIRITTO DI LIBERTA’ DI INIZIATIVA ECONOMICA – ART. 41 DELLA COSTITUZIONE- L’effetto repressivo della richiesta di pagamento di imposte su un reddito inesistente, come nel caso in esame, configura violazione del diritto di intraprendere iniziative economiche che non sempre risultano redditualmente allineate alle assai e discutibili aspettative del Fisco in materia di studi di settore.
P. Q. M.
Viene a finale considerazione che l’ avviso d’accertamento è completamente estraneo al nostro Stato di Diritto ed al suo Ordinamento Tributario, per violazione di norme Costituzionali, illegittimità, infondatezza, illiceità, abuso, arbitrarietà, e quindi da ritenersi nulli o soggetti a censura di annullamento.
Il sottoscritto, richiamando ciascun punto del ricorso,
CHIEDE
A) – che Codesta On.le Commissione Tributaria Provinciale di Bari, in accoglimento del presente ricorso, dichiari la disapplicazione del D.L. 30.8.1993, n. 331 convertito, con modif., in L. 29.10.1993, n. 427, l’annullamento dell’atto per quanto esposto in diritto ed in subordine l’annullamento dell’ atto di accertamento, siccome incostitutivo, radicalmente viziato ed illegittimo per violazione di legge, eccesso di potere, carente o inesistente motivazione, nonché infondato in fatto e diritto;
C) – l’annullamento delle sanzioni pecuniarie. Con vittoria delle spese di giudizio.
Si deposita:
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Putignano, 18.01.2010
Con Ossequio
Il difensore abilitato _____________________
Rag.Tonio Detomaso
ATTESTAZIONE DI CONFORMITA ‘ DELLA COPIA DEL RICORSO ALL’ORIGINALE.
Il sottoscritto rag. Tonio Detomaso, in qualità di difensore abilitato dal Signor xxxxxxxxxxxxxxx nella presente
controversia attesta, ai sensi dell’art.22, comma 3, del D. Lgs. 546/1992, che questo ricorso è conforme all’originale consegnato all’ Agenzia delle Entrate Ufficio di xxxxxxxxxxxxxxx in data _________.
Firma del difensore
_____________________
Rag. Tonio Detomaso